“La pandemia ha ulteriormente mostrato l’inadeguatezza del sistema, la gracilità e vetustà di molti suoi gangli, e pone in modo deciso la necessità di un cambiamento profondo e incisivo, prima di tutto culturale. Per fare fronte alla crisi si è scelto di impegnare risorse economiche in misura impensabile sino a un anno fa. Ma per ottenere dall’Europa i relativi finanziamenti è necessario tracciare un quadro di riforme, prima fra tutte della giustizia, che dia idonee garanzie di conseguire gli obiettivi prefissati”. Lo ha detto il primo presidente della Corte Suprema di Cassazione, Pietro Curzio, in occasione della cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del premier dimissionario Giuseppe Conte, del presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, del presidente della Camera Roberto Fico e del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, oltre al vicepresidente del Csm David Ermini.
“Anche qualora tutte le risorse venissero acquisite dovranno in parte cospicua essere restituite. Il debito dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani”, ha aggiunto il presidente della Corte citando poi Mario Draghi: “Per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza”. Secondo Curzio il terribile anno che “ci siamo lasciati alle spalle ci ha visti impegnati fondamentalmente a limitare i danni e alla fine il bilancio è positivo. Grazie ad un forte recupero nel secondo semestre, siamo riusciti a definire più di 30.000 processi civili e nel penale siamo riusciti a conservare tempi di definizione dei giudizi inferiori ad un anno.
Se si scorre la rassegna delle più rilevanti sentenze contenuta nella relazione ci si rende conto di quale sia stato l’impegno della Corte anche sul piano qualitativo. Ma questo non può bastare. Dobbiamo assumerci la responsabilità di contribuire a tracciare il quadro di proposte necessarie per migliorare una situazione che rimane critica – ha sottolineato – cooperando con vari interlocutori, a cominciare dal legislatore”.
“L’amministrazione della giustizia è stata, come ogni settore della vita della nostra comunità, segnata dalla pandemia. Ciò ha comportato il sostanziale blocco dell’attività giudiziaria per un certo periodo, una faticosa e difficile ripresa per la restante parte dell’anno e oggi ci pone dinanzi alla necessità di ripensare profondamente il sistema. Di partecipare alla costruzione di un qualcosa che ancora non c’è. Di riforme del sistema giustizia e, al suo interno del giudizio di legittimità, ne sono state fatte molte negli ultimi anni, con un continuo, a volte turbinoso, susseguirsi di modifiche normative e organizzative, che a volte, invece di risolvere i problemi, hanno finito per complicarli”, ha evidenziato.
Il Guardasigilli, Alfonso Bonafede, nel suo intervento nelle vesti di ministro della Giustizia in carica per gli affari correnti, ha spiegato di doversi attenere “all’esposizione generale dell’attività portata avanti nel 2020, esimendomi per doveroso rispetto dei rapporti istituzionali da qualsiasi considerazione di indirizzo politico. Il 2020 è stato l’anno della pandemia, le istituzioni italiane hanno reagito con compattezza avendo come punto di riferimento il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La pandemia – ha spiegato – ha inciso fortemente anche sul settore della giustizia ma che non si è fermata nemmeno nei momenti di maggiore difficoltà. Sono state adottate tutte le misure necessarie per limitare il più possibile la diffusione del contagio sia negli uffici giudiziari, sia nella difficile realtà degli istituti penitenziari. Segnalo che nel 2020 c’è stata una significativa diminuzione della popolazione detenuta che risulta oggi essere pari 50.369 detenuti fisicamente presenti”.
Il ministro ha ricordato che a livello internazionale “in occasione del ventesimo anniversario della convenzione di Palermo contro la criminalità organizzata transnazionale, nata da una intuizione di Giovanni Falcone, l’Italia si è confermata Paese guida nelle politiche di contrasto alle mafie promuovendo due importanti risoluzioni approvate dalla conferenza degli stati parte”, ha concluso auspicando “che una giustizia rinnovata e più celere possa concorrere all’indispensabile rilancio del Paese”.
Il vicepresidente del Csm ha posto l’accento sulle recenti polemiche che hanno riguardato i magistrati: “Il doveroso accertamento della responsabilità di singoli magistrati non deve trasformarsi in un modo per liquidare fatti dolorosi e inquietanti all’interno di una spiacevoli parentesi da archiviare in fretta – ha detto Ermini -. Risulterebbe vana ogni decisione della Sezione disciplinare o della Prima commissione per l’incompatibilità, se ad essa non si affiancasse un profondo cambiamento di mentalità, una vera e propria rifondazione morale che coinvolga tutta la magistratura”.