mercoledì, 24 Aprile, 2024
Società

Una Class Action per le imprese

Pochi dubbi si possono avanzare a proposito delle conseguenze che l’ultima mossa del Governo – compiuta negli ultimi giorni con il  pur notevole intento di contenere la pandemia – avrà sull’equilibrio economico, già precario, delle imprese della ristorazione e del turismo.

La scelta di un Lock Down “a canguro” (saltando cioè dai giorni feriali, con poche limitazioni, alle festività di Natale di Capodanno, quando ogni movimento delle persone sarà assoggettato ai più rigorosi controlli onde evitare il loro accesso negli alberghi e nei locali pubblici, a loro volta privati della possibilità di servire i loro clienti) sta infatti creando agli imprenditori un danno di duplice natura: non poter beneficiare della tradizionale propensione alla spesa che durante le feste i consumatori dimostrano da tempo immemorabile e, contemporaneamente, mandare al macero le derrate alimentari in precedenza acquistate per soddisfare e favorire una tale propensione.

Quel che, infatti, le imprese contestano non è solamente la modalità attraverso la quale le misure sanitarie si manifestano – di per sé sicuramente poco ragionevoli – ma anche i tempi, quasi improvvisi e inaspettati, con cui quelle misure sono state annunciate.

Qualche acuto giornalista ha parlato di mancanza di rispetto, da parte del pubblico potere, verso l’iniziativa economica privata che l’articolo 42 della Costituzione tutela, ma alla scarsità del rispetto verso i diritti dei cittadini – non solo imprenditori – siamo stati abituati ormai da tempo e non solo dal Governo Conte, ma prima di tutto da un Parlamento che approva ormai da anni regole liberticide senza neanche rendersi conto delle conseguenze del proprio voto e poi da uno blocco da una burocrazia che costantemente respinge le regole della trasparenza amministrativa, per non dire dei giudici di ogni ordine e grado che pignolescamente applicano quelle regole in evidente spregio delle garanzie offerte dalla prima parte della Costituzione.

Stavolta però si è esagerato, spingendo quasi alla disperazione le categorie produttive cui quello stesso Governo vuole imporre il gravoso compito di riaccendere i motori dell’economia italiana anche al fine di contenere la voragine del debito pubblico e la risposta non si è fatta attendere, visto che l’unico strumento a disposizione delle vittime di certe scelte irragionevoli si è potuta rinvenire in un’azione collettiva da attivare sia al fine (improbabile) di fermare in tempo utile le conseguenze di quelle scelte, che con l’intento (invece probabilissimo) che il pubblico erario possa ristorare i ricorrenti del danno loro causato dal fermo imposto nonostante le spese per la sicurezza affrontate dai ricorrenti pur di poter continuare le loro rispettive attività.

Questa è infatti, secondo la più attenta giurisprudenza, la Class Action pubblica (da non confondere con quella, omonima, prevista dal Codice del Consumo per difendere una moltitudine di clienti da pratiche commerciali scorrette che si reiterano in modo seriale, la cui competenza spetta al Giudice civile) attraverso la quale un insieme di imprenditori esercenti le medesime attività si rivolgono al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio per ottenere che – previo risarcimento del danno causato dalle misure adottate in precedenza – il Governo ponga fine, d’ora in poi “al comportamento costantemente violativo delle regole imposte dall’ordinamento” (così TAR Lazio, Sez. II Quater, 26 febbraio 2014, n. 2257).

Attraverso un simile ricorso si pretende dunque dal giudice amministrativo l’emanazione di un provvedimento giudiziale particolarmente penetrante complesso nella sua attuazione da parte dello stesso governo e l’esperibile vita di un simile ricorso non può essere impedita neanche dalla circostanza per cui le misure impugnate vengano adottate in regime di emergenza.

Aggiungo che la legittimazione e l’interesse ad agire in questo tipo di class action vanno riconosciuti alle associazioni degli imprenditori (e dei lavoratori autonomi) che dimostrino di possedere sufficienti radici di rappresentatività degli interessi diffusi di quelle particolari categorie di operatori che si ritengano colpite da misure che – in astratto giustificabili – si rivelino, per le modalità attraverso le quali vengono poste in essere, oggettivamente irragionevoli come appunto accade a proposito delle chiusure imposte in occasione delle festività dei prossimi giorni.

Ovviamente non si tratta di stendere un ricorso semplice, anche perché la legge che lo disciplina impone la previa adozione di una diffida ed occorre dunque ben calibrare i rapporti fra quest’ultima e la richiesta al giudice di emanare una sentenza a contenuto risarcitorio e prescrittivo nei confronti del Governo.

I giorni delle Feste si trasformino dunque in giornate di lavoro per i diversi Studi legali che cui sia domandato di redigere gli atti necessari a depositare il prima possibile i relativi ricorsi: il Lock Down non si applica infatti a Questi ultimi, per precetto europeo che neanche il nostro Governo ha avuto la forza di violare.

L’avvio di un’Azione di Classe sembra d’altronde, in presenza di ciò che sta accadendo, l’unico strumento a disposizione delle imprese della ristorazione e del turismo per uscire da una palude entro la quale  interi settori economici rischiano di affogare, trascinando con loro tutto il “Sistema Italia” e, quando questo accade, anche una corda sottile può rappresentare la salvezza.  

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