Il comparto elettrico è in ebollizione da mesi: con i lavoratori sul piede di guerra e Enel che oscilla tra porte chiuse e porte aperte. Ma ricostruiamo i fatti.
Il 19 novembre c’è stato il primo sciopero nazionale del settore. Le richieste dei sindacati sono state chiare: “Maggiori, immediati e più puntuali investimenti sulla Rete in Italia, necessari per accompagnare la transizione energetica e migliorare la qualità del servizio; riconferma e miglioramento delle relazioni industriali, al centro e sul territorio, con la modifica del Protocollo delle relazioni industriali in senso partecipativo; impegno ad avviare immediatamente un adeguato piano di assunzioni per far fronte alle emergenze strutturali e l’avvio di un confronto concreto ed efficace sull’Area Rete, al fine di condividere i progetti futuri”.
Una mobilitazione che ha visto la partecipazione del 90% del personale operativo. In tempi di pandemia, non ci sono quindi, solo le emergenze sanitarie, ma anche e soprattutto, le emergenze economiche e sociali. Non è una novità che anche nel comparto elettrico, infatti, si stiano giocando parecchie partite incrociate. C’è, appunto, la scelta delle nuove politiche industriali italiane; c’è il ruolo e l’assetto da ripensare di Enel e, non da ultimo, il futuro di migliaia di lavoratori.
Lavoratori considerati “eroi della luce” dagli italiani (l’energia elettrica è come la vista: ti accorgi del suo valore quando manca), che recentemente, hanno pagato pure un duro prezzo per garantire il servizio nei momenti più difficili (tanti anche fra loro i contagiati dal virus), e invece, a parere dei sindacati, considerati spesso ombre dall’azienda.
Perché ombre? Il codice degli appalti, secondo l’articolo 177, parla di obbligo a esternalizzare per una quota dell’80%. E in questa prospettiva il rischio che si nasconde dietro alcune scelte di esternalizzazione di E-Distribuzione che aprirebbero la strada al passaggio all’esterno di molte attività, a discapito dell’occupazione e non solo.
Non è soltanto un problema strutturale: già ad oggi, E-Distribuzione garantisce un servizio di massimo livello, con operatori, tecnici, operai e impiegati, altamente professionali. E questo, nonostante le condizioni di eterna difficoltà che deve affrontare l’azienda (orari massacranti, turni faticosi etc).
Il tema è in primis, generale e riguarda le priorità per un Paese come l’Italia. L’energia elettrica, come l’acqua, l’istruzione, la casa, è un bene pubblico, attiene a l’interesse generale, non può essere monopolio di pochi o un prodotto vincolato a mere esigenze di mercato, profitto, business. Farebbe la fine di Autostrade (Ponte Morandi docet).
Come noto, dalle privatizzazioni di Bersani, nel 1999, la rete elettrica è stata liberalizzata, ma l’Enel ne è rimasta proprietaria solo perché al momento della liberalizzazione lo Stato non gliel’ha sottratta in base all’articolo 43 della Costituzione (la legge ai fini di utilità generale, può riservare allo Stato, a Enti pubblici o a comunità di lavoratori, o imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali), assegnandogliela in concessione gratuita per 30 anni (scade nel 2030).
Ora, come detto, col Codice degli appalti, e in vista del 2030, ci sarà la totale trasformazione del comparto. E tutti i soggetti interessati sono al lavoro. Solo che marciano in direzioni diverse. La battaglia dei sindacati, secondo quanto dichiarato dal segretario della Flaei-Cisl, Salvatore Mancuso (che insieme a Filctem-Cgil e Uiltec ha organizzato lo sciopero del 19 novembre), “non è di retroguardia, legata a una vecchia visione del lavoro e dell’organizzazione interna, non è una mera difesa dell’occupazione, ma è il desiderio, l’aspirazione di partecipare e cogestire con l’azienda la strada del futuro, collocando l’occupazione in una strategia di buon senso, capace di conciliare la qualità del servizio e la mission del comparto: il bene pubblico”.
Gli effetti della mobilitazione? Dall’azienda inizialmente, porte chiuse. Al punto che i sindacati hanno organizzato una nuova serie di agitazioni, dal 2 al 18 gennaio prossimo, con un nuovo sciopero generale, previsto per il 17 dicembre. Scontro frontale? Sì e no. Le porte chiuse si sono socchiuse. Da quanto è trapelato dalle rispettive diplomazie (Enel e organizzazioni sindacali), è stata convocata una riunione per questo fine settimana, che si annuncia estremamente delicata per i nuovi indirizzi aziendali a 360 gradi.
Un appuntamento rischioso, ma importante per le scelte da attuare. Da un lato, l’azienda che ha due strade: trovare convergenze sulle idee dei lavoratori, o continuare sulla strada dell’esternalizzazione totale. Dall’altro, i sindacati e le loro proposte, che ribadiscono la loro posizione (“servono fatti concreti”).
Se le porte non si aprono lo sciopero resta l’unico strumento per farsi ascoltare e partecipare a obiettivi che non riguardano solo il profitto di un’azienda ancora florida, con i conti a posto, ma il destino di un comparto nevralgico e strategico per l’Italia.
(Lo_Speciale)