martedì, 19 Marzo, 2024
Ambiente

Qualità dell’aria. Corte di Giustizia europea condanna l’Italia: Valori limite PM10 superati in maniera sistematica

“I valori limite applicabili alle concentrazioni di particelle PM10 sono stati superati in maniera sistematica e continuata tra il 2008 e il 2017”. Batosta meritata contro l’Italia da parte della Corte di Giustizia europea per aver violato il diritto dell’Unione sulla qualità dell’aria.

Una infrazione arrivata alla sanzione con osservazioni pesanti verso l’Italia che non ha poi nemmeno adottato i provvedimenti necessari per ridurre l’inquinamento. Il tutto nasce nel 2014, quando la Commissione europea ha avviato – non è la prima volta dal momento che l’Italia in campo ambientale è maglia nera su molti fronti – un procedimento per inadempimento nei confronti dell’Italia in ragione del superamento “sistematico e continuato, in un certo numero di zone del territorio italiano”, dei valori limite fissati per le particelle PM10 dalla direttiva “qualità dell’aria”. Il documento della Commissione, documenta le inadempienze dell’Italia già dal 2008 per aveva superato, i valori limite giornaliero e annuale applicabili alle concentrazioni di particelle PM10. Non solo, come spesso è accaduto alle richieste di informazioni e chiarimenti l’Italia, ha risposto in maniera approssimativa. Così la Commissione, il 13 ottobre 2018, ha proposto dinanzi alla Corte un ricorso per inadempimento.

Nella sentenza pronunciata il 10 novembre 2020, la Corte, riunita in Grande Sezione, ha accolto il ricorso della Commissione.

“In primo luogo, per quanto riguarda la censura attinente alla violazione sistematica e continuata delle disposizioni della direttiva “qualità dell’aria”, la Corte giudica detta censura “fondata, alla luce degli elementi dedotti dalla Commissione per i periodi e le zone oggetto del procedimento”, si legge nel documento della Corte di Giustizia Europea, “a tal riguardo, la Corte ricorda, che il fatto di superare i valori limite fissati per le particelle PM10 è sufficiente, di per sé, per poter accertare un inadempimento”.
“La Corte dichiara che, dal 2008 al 2017 incluso, i valori limite giornaliero e annuale fissati per le particelle PM10 sono stati regolarmente superati nelle zone interessate”.

Secondo la Corte, il fatto che i valori limite non siano stati superati nel corso di taluni anni durante il periodo considerato non osta all’accertamento, “di un inadempimento sistematico e continuato alle disposizioni in parola”. Infatti, secondo la definizione del “valore limite”, al fine di “evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi sulla salute umana e/o sull’ambiente nel suo insieme, deve essere conseguito entro un dato termine e non essere superato una volta raggiunto”.

Inoltre, la Corte sottolinea che, “una volta che tale constatazione è stata accertata, è irrilevante che l’inadempimento risulti dalla volontà dello Stato membro al quale è addebitabile, dalla sua negligenza”, si sottolinea nel documento, “oppure da difficoltà tecniche o strutturali cui quest’ultimo avrebbe dovuto far fronte, salvo stabilire l’esistenza di circostanze eccezionali le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante l’uso della massima diligenza”, fa presente la Corte di Giustizia Europea, “pertanto, non essendo riuscita a fornire tale prova, invano l’Italia si è fondata sulla diversità delle fonti d’inquinamento dell’aria per sostenere che alcune di esse non potrebbero esserle imputate, come esempio quelle che sarebbero influenzate dalle politiche europee di settore, o sulle particolarità topografiche e climatiche di talune zone interessate”. Infine, la Corte non conferisce “rilevanza alcuna alla circostanza, invocata dall’Italia, dell’estensione limitata, rispetto all’insieme del territorio nazionale, delle zone sulle quali vertono le censure invocate dalla Commissione”. La Corte di Giustizia Europea ricorda inoltre, che “il superamento dei valori limite fissati per le particelle PM10, anche nell’ambito di una sola zona, è di per sé sufficiente perché si possa dichiarare un inadempimento alle summenzionate disposizioni della direttiva “qualità dell’aria”. Non solo le negligenze dell’Italia si sono spinte al punto di non formulare e presentare nessun piano e “prevedere le misure adeguate affinché il periodo di superamento di tali valori limite sia il più breve possibile”. La Corte si legge ancora nel documento: “dichiara che l’Italia non ha manifestamente adottato, in tempo utile, le misure in tal senso imposte”. Non solo l’accusa verso l’Italia è pesante:
“con riguardo ai fattori principali di inquinamento, per una grande maggioranza di esse sono state previste solo in tempi estremamente recenti e che molti di questi piani dichiarano una durata di realizzazione degli obiettivi relativi alla qualità dell’aria che può essere di diversi anni, se non addirittura di due decenni dopo l’entrata in vigore di detti valori limite”.

Secondo la Corte, una tale situazione dimostra, di per sé, che “l’Italia non ha dato esecuzione a misure appropriate ed efficaci affinché il periodo di superamento dei valori limite fissati per le particelle PM10 sia il più breve possibile”. Alla Corte di Giustizia europea inoltre non sono bastate le rassicurazioni dell’Italia, dal momento che più di un vero piano si è proposta una proroga generale. Richiesta che è stata bocciata.
“Peraltro, mentre l’Italia riteneva indispensabile, segnatamente alla luce dei principi di proporzionalità, di sussidiarietà e di equilibrio tra gli interessi pubblici e gli interessi privati, disporre di termini lunghi affinché le misure previste nei diversi piani relativi alla qualità dell’aria potessero produrre i loro effetti, la Corte osserva”, conclude il documento che condanna l’Italia, “al contrario si pone in contrasto sia con i riferimenti temporali posti dalla direttiva “qualità dell’aria”, per adempiere gli obblighi che essa prevede, sia con l’importanza degli obiettivi di protezione della salute umana e dell’ambiente, non può imporre che le misure adottate da uno Stato membro garantiscano il rispetto immediato di tali valori limite per poter essere considerate adeguate, la Corte sottolinea che l’approccio dell’Italia”, chiude il documento, “si risolverebbe nell’ammettere una proroga generale, eventualmente sine die, del termine per rispettare tali valori, allorché essi sono stati fissati proprio nell’ottica di conseguire tali obiettivi”.

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