martedì, 16 Aprile, 2024
Società

Ratifica Convenzione di Faro, l’Italia riuscirà a compiere l’auspicata rivoluzione?

Sono trascorsi quindici anni da quell’ottobre del 2005 quando nella città portoghese di Faro venne presentata la “Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società”. Otto anni dopo, nel 2013, l’Italia l’ha sottoscritta, e quest’anno ratificata. 

Il 23 settembre 2020 la Camera ha approvato il testo con 237 voti favorevoli, 119 contrari e 57 astenuti, dopo che il Senato aveva dato parere positivo lo scorso anno. 

La Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Marina Sereni, subito dopo con un tweet ha mostrato “grande soddisfazione per la ratifica della Convenzione di Faro che riconosce il valore universale del patrimonio culturale, il ruolo dei cittadini e delle comunità locali, la cooperazione internazionale e il dialogo tra le culture per la salvaguardia del patrimonio culturale”.

Dello stesso avviso è il FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano che già nel novembre 2019, quando l’Aula di Palazzo Madama si era espresso positivamente con 147 voti favorevoli, 46 contrari e 42 astenuti, aveva manifestato il forte desiderio che anche la Camera presto giungesse alla medesima conclusione. 

Secondo il FAI, la Convenzione di Faro rappresenta un testo rivoluzionario che dà forza all’articolo 9 della nostra Costituzione. E in più, stravolge la concezione stessa di patrimonio culturale, che “nella legislazione italiana, erede delle norme definite nel corso del Novecento e in particolare nella Legge 1089 del 1939, è ancora oggi legata alla centralità delle cose”. Con la Convenzione si amplia la sua visione che diventa, così, “un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione” e soprattutto demanda uno specifico ruolo, e conseguenzialmente una grande responsabilità alla “comunità patrimonio”, ossia a “un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future.” (art. 2).

Cosa assolutamente non di poco conto, poi, è il superamento del concetto di “diritto del patrimonio culturale” in favore di “diritto al patrimonio culturale”. Ciò lascia intendere che la tutela, la valorizzazione, la responsabilità del patrimonio culturale non sono più compiti riservati a una nicchia di persone, quali gli specialisti, i professori e i funzionari, ma appartengono a tutti i cittadini, alle comunità locali, ai visitatori. 

Eppure non sono mancate le polemiche: gli articoli contestati, nello specifico, sono il 4 e il 7 e, a dare manforte, c’è l’argomentazione della mancata sottoscrizione e ratifica di stati quali Francia, Gran Bretagna, Germania, Grecia e Russia. 

Nell’art. 4 viene contemplata l’ipotesi che l’esercizio del diritto al patrimonio culturale possa “essere soggetto soltanto a quelle limitazioni che sono necessarie in una società democratica” o per la protezione “degli altrui diritti o libertà”. Nell’art. 7, si legge che i Paesi che sottoscrivono il testo si devono impegnare “a stabilire procedimenti di mediazione per gestire equamente le situazioni dove valori contraddittori siano attribuiti allo stesso da comunità diverse”. Queste parti del testo hanno messo in allerta la Lega e Fratelli d’Italia, i quali ritengono che, approvare la Convenzione equivale a cedere alla censura. 

“Siamo alla più clamorosa resa culturale della nostra civiltà. – afferma Andrea Delmastro, deputato di Fratelli d’Italia e capogruppo FDI in commissione Esteri – La sottoscrizione è la Caporetto di una civiltà. La nostra civiltà si fonda sulla libertà della espressione artistica e culturale. La nostra identità culturale e artistica non può essere oggetto di mediazioni”. 

Anche dalla Lega parole di dissenso: “Dietro l’apparenza delle buone intenzioni, – attaccano i parlamentari della Lega Lucia Borgonzoni, responsabile Cultura del partito, e Paolo Formentini, vicepresidente della commissione Affari esteri della Camera – si darà di fatto la possibilità di censurare la nostra arte se altre comunità o singoli si sentiranno offesi come, ad esempio, la comunità islamica”. 

Ma il testo, letto con buon senso, non sembra predire in alcun modo questo esito. Semmai apre al confronto, alla cooperazione e alla totale partecipazione. Immediato l’intervento di Dario Franceschini, Ministro per i Beni e le Attività culturali e del Turismo, che ha chiarito: “La ratifica della Convenzione di Faro segna un momento fondamentale per il nostro ordinamento. Nessuna censura è perpetrabile nel nome di questo atto, che mira piuttosto alla maggiore condivisione possibile di quanto abbiamo ereditato dalle civiltà che ci hanno preceduto. La Convenzione di Faro – ha proseguito –  non chiede affatto di coprire le statue”.

Checché se ne dica, insomma, i principi sanciti a Faro nel 2005 sono innovativi, aperti e più attuali che mai; urgente si fa la necessità di adottare politiche inclusive più attente alla qualità della vita. Politiche che muovano verso equità sociale e crescita sostenibile. In questo senso, il patrimonio culturale sembra un fattore cruciale perché rappresenta una risorsa per la crescita culturale politica e socio-economica. La Convenzione, invitando i Paesi a “promuovere azioni per migliorare l’accesso al patrimonio culturale, in particolare per i giovani e le persone svantaggiate, al fine di aumentare la consapevolezza sul suo valore, sulla necessità di conservarlo e preservarlo e sui benefici che ne possono derivare” (art. 12), apre la strada a questo nuovo corso e rafforza l’ipotesi di un welfare culturale.  

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