La parola Stati generali non porta bene. Storicamente evoca sempre il preludio di un disastro annunciato.
Ad esempio, Luigi XVI tentò di correggere, moderare, la rivoluzione francese in senso monarchico-riformista, e per qualche anno gli andò bene (esattamente due). Con Mirabeau e Lafayette, in effetti, la Francia visse la prima fase del cambiamento dopo la presa della Bastiglia (1789), la cosiddetta parentesi liberal-costituzionale; ma poi, inesorabilmente, arrivò la Repubblica, con annesso Terrore, Robespierre, giacobinismo, ghigliottina a 360 gradi e il primo genocidio della storia moderna: 200mila vandeani massacrati in quanto rei di non arrendersi all’ideologia “Liberté-Egalité-Fraternité”.
Conte come Luigi XVI? Possibile. Anche lui a Villa Pamphili sta organizzando un incontro altamente mediatico e virtuale (la Repubblica dei social), mirato a stabilizzare il potere, che lui continua a gestire utilizzando la crisi sanitaria e la difficile ripartenza economica.
E chi sono l’equivalente delle classi che allora il re Borbone raccolse intorno a sé (l’elite di prima, composta da nobiltà, borghesia, clero)? Oggi è Colao, la sua squadra, i ministri giallorossi, gli architetti blasonati, la Confindustria, la banca, i sindacati e soprattutto i capi della Ue, furbescamente italianizzati per l’occasione. Vedremo poi, i fatti, le ricette. Solo quelle contano.
La comunicazione del premier non lascia dubbi sull’atteggiamento e lo stile monarchico. L’ha felicemente ricordato Antonio Polito sulle colonne del Corriere della sera: “Ho reso edotto il Parlamento”. Tradotto: il Parlamento non si rende edotto, non è un organo passivo che subisce gli editti regi, ma il simbolo della democrazia, quindi il novello Luigi avrebbe dovuto dire “coinvolgo il Parlamento”.
E ancora: “Rifarei tutto uguale”. Tradotto, nessuna critica circa la gestione del Coronavirus. Atteggiamento tipico da sovrano assoluto. E ancora: “Tutto il mondo ci copia”. Tradotto, un mix tra “Lo Stato sono io” di Re Sole, e un neo-colonialismo patriottico”.
Per il resto, i contenuti degli Stati Generali, sono stati ampiamente anticipati dalle indiscrezioni, che pare siano state fatte filtrare dagli amici del Colle. D’altra parte, Conte, da buon accentratore, ha provveduto a svuotare l’idea di Mattarella e non solo, di coinvolgere il manager, affiancandogli una pletora di illuminati ed esperti di sua fiducia.
E, a proposito di Stati generali, la medesima parola, è stata usata dai pentastellati. Un movimento in crisi cronica, che tenterà di riprendersi strada facendo con la futura kermesse, che sarà teatro di una battaglia all’ultimo sangue tra governisti e puri, guidati da Di Battista, che ieri da Lucia Annunziata, ha ribadito il vero Dna del partito: no alla Ue, interesse nazionale, no al liberismo e sì allo Stato sociale, sì al pubblico. Visioni incompatibili, con il recente corso grillino, filo-Ue, liberista.
Un nuovo-antico manifesto che ha fatto infuriare il guru Grillo, che ha provveduto immediatamente a ridimensionare l’inquieto ex-sodale di Di Maio.
Ma, tornando alla storia, gli Stati generali sono l’inizio della fine di ogni “Ancien regime”. Stessa sorte è capitata a Gorbaciov, quando tentò di salvare capra e cavoli.
Conte riuscirà in quest’ennesima rinascita? Dietro l’angolo ci sono molte strade per lui: un partito di centro da 14% (modello-Monti), il sindaco di Roma, le suppletive sarde e il nuovo mastice tra grillini e sinistra, che riporterebbe i pentastellati al 30%. Se son rose fioriranno. Come le rose di Villa Pamphili.
Resta da vedere chi saranno i futuri giacobini, pronti a sostituire Luigi XVI-Conte: Salvini, la Meloni, i gilet arancioni?
(Lo_Speciale)