mercoledì, 23 Aprile, 2025
Esteri

Bombe su Gaza, almeno 26 morti. Delegazioni in Egitto per i colloqui

Tregua di 5-7 anni nel piano proposto da Qatar e Egitto. Siria: gli Usa manterranno almeno 400 soldati, in due nuove basi

Mentre le bombe continuano a cadere quotidianamente sulla Striscia di Gaza, la tensione si estende anche al Libano e alla Siria. Dalla ripresa dell’offensiva israeliana su Gaza, lo scorso 18 marzo, le operazioni militari sono andate intensificandosi. Solo nelle ultime ore, almeno altri 26 palestinesi sono stati uccisi in raid aerei israeliani che hanno colpito le città di Gaza, Khan Yunis, Beit Lahia e Beit Hanoun. La protezione civile, gestita da Hamas, denuncia l’uso di bombardamenti massicci in aree residenziali e la distruzione di numerose abitazioni. L’esercito israeliano inoltre continua la sospensione ogni fornitura di beni e materiali alla Striscia. Il blocco, riporta l’Onu, ha ormai raggiunto i 50 giorni consecutivi – il più lungo dall’inizio della guerra. Oltre 3.000 camion carichi di aiuti umanitari, secondo l’UNRWA, restano fermi al confine, trasformati in “merce di scambio” in una crisi che colpisce due milioni di civili, in gran parte donne e bambini. Le conseguenze sono drammatiche: la campagna di vaccinazione antipolio per oltre 600.000 bambini, sostenuta dalle Nazioni Unite, è stata sospesa, mentre gli ospedali segnalano gravi carenze di medicinali, carburante e acqua potabile. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, dal 18 marzo a oggi le vittime sono almeno 1.864, con quasi 5.000 feriti.

Il Papa e il silenzio di Netanyahu

In questo scenario tragico, le parole di Papa Francesco risuonano forti. Il Pontefice è stato ringraziato dall’Autorità Nazionale Palestinese e da Hamas per la sua “ferma condanna della guerra” e il suo appello a proteggere le vite innocenti. Mentre Mahmoud Abbas lo ha definito “un leale amico del popolo palestinese”, da Israele è giunto solo un commento sobrio del presidente Isaac Herzog: “Spero che le sue preghiere siano esaudite”. Il premier Benjamin Netanyahu, invece, non ha ancora preso posizione.

Al Cairo si cerca un’intesa

Mentre sul campo si combatte, dietro le quinte si cerca una via d’uscita. Una delegazione israeliana e una di Hamas sono giunte in Egitto per discutere con i mediatori di Doha e Il Cairo. Secondo quanto riportato dalla BBC, sul tavolo c’è una proposta articolata: una tregua di 5-7 anni, il ritiro completo dell’esercito israeliano da Gaza, il rilascio degli ostaggi israeliani in cambio di prigionieri palestinesi e la creazione di un’amministrazione condivisa per governare la Striscia. Fonti diplomatiche parlano di una “flessibilità inedita” da parte di Hamas, che si sarebbe detta disponibile a cedere il controllo politico del territorio a un’istituzione palestinese condivisa – potenzialmente l’Autorità Nazionale Palestinese – ma senza rinunciare al proprio arsenale militare. Una condizione che Israele continua a rifiutare, ribadendo la necessità del disarmo completo di Hamas come precondizione per qualsiasi intesa. Il premier Netanyahu ha dichiarato il 19 aprile che “la guerra non finirà finché Hamas non sarà distrutto e tutti gli ostaggi liberati”.

Raid anche in Libano

La crisi non resta confinata a Gaza. L’esercito israeliano ha colpito il sud del Libano, uccidendo Hussein Atawi, membro del braccio armato di Jamaa al-Islamiyya, gruppo sunnita legato ai Fratelli musulmani e ad Hamas. Atawi è stato colpito da un drone mentre viaggiava nei pressi di Damour, a sud di Beirut. Secondo le autorità israeliane, il miliziano era stato già preso di mira in passato, ed era ritenuto coinvolto negli attacchi contro Israele avvenuti nei mesi scorsi. L’attacco arriva in un momento in cui la tensione con Hezbollah – il potente movimento sciita libanese – resta alta, e conferma l’allargamento geografico del conflitto.

Siria: gli USA rafforzano la presenza militare

Nel frattempo, sul versante siriano, Washington ha annunciato il mantenimento di circa 400 soldati statunitensi in due nuove basi localizzate nel nord e nel sud-est del Paese. Secondo Bassam Ishaq, rappresentante dell’amministrazione autonoma curda (Daanes), le nuove installazioni saranno operative vicino alla diga di Tishreen – zona di interesse strategico e oggetto di recenti attacchi turchi – e nei pressi del confine con l’Iraq, a Deir ez-Zor. La mossa, che sembra smentire l’intenzione di un ritiro imminente, è stata presentata come una “riduzione tattica e graduale”. Washington, vincolata da una disposizione del Congresso, non può scendere sotto i 400 uomini dispiegati. In parallelo, sono in corso trattative tra le autorità curde e il governo siriano per integrare le forze democratiche siriane nelle strutture ufficiali dello Stato.

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