sabato, 16 Novembre, 2024
Società

Libertà di stampa a rischio anche in Italia

Oggi si celebra la Giornata internazionale per la libertà, proclamata il 3 maggio del 1993 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dietro raccomandazione della Conferenza Generale Unesco.

Il giorno fu scelto per ricordare il seminario dell’Unesco per promuovere l’indipendenza e il pluralismo della stampa africana (Promoting an Independent and Pluralistic African Press) tenutosi dal 29 aprile al 3 maggio del 1991 a Windhoek (Namibia). L’incontro portò alla redazione della Dichiarazione di Windhoek che contiene un’affermazione dei principi in difesa della libertà di stampa, del pluralismo e dell’indipendenza dei media come elementi fondamentali per la difesa della democrazia e il rispetto dei diritti umani.

La libertà di stampa è un valore che troppo spesso diamo per scontato. In realtà questo diritto fondamentale è tuttora minacciato, anche in paesi che si definiscono democratici. Di qui la presa di posizione del segretario generale del Consiglio d’Europa, a detta della quale «i media devono essere liberi di riferire su tutti gli aspetti della crisi. I giornalisti hanno un ruolo chiave e una responsabilità speciale nel fornire al pubblico informazioni tempestive, accurate e affidabili. Devono essere in grado di controllare le decisioni delle autorità in risposta alla pandemia».

La Piattaforma per la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti ha appena pubblicato il Rapporto 2020 in cui si elencano 142 attacchi compiuti contro giornalisti nei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa durante il 2019.

Per l’alta funzionaria «continua la preoccupante tendenza alla violenza e alle intimidazioni contro i giornalisti osservata negli ultimi anni. Troppi giornalisti sono in prigione e ci sono troppi casi di impunità per l’uccisione di giornalisti» e molti giornalisti si trovano oggi anche «in una difficile situazione economica». I giornalisti hanno invece un ruolo di «cani da guardia» e sono parte importante «dei necessari controlli e contrappesi nelle società democratiche».

Soprattutto in questo momento di crisi, che «non deve essere utilizzato per mettere a tacere o ostacolare i giornalisti» tanto più che con i loro racconti «possono anche aiutare a prevenire la diffusione del panico ed evidenziare esempi positivi di solidarietà nelle nostre società».

L’Italia, purtroppo, non è da meno. La Presidenza del Consiglio si è formalmente costituita davanti alla Corte Costituzionale chiedendo che vengano respinte tutte le eccezioni sollevate un anno fa dai tribunali di Salerno e di Bari che ritenevano illegittima la detenzione per il reato di diffamazione, prevista sia dall’art. 595 del codice penale, sia dalla legge sulla stampa (la n. 47 del 1948), perché incompatibile con la libertà di espressione dei giornalisti garantita dagli articoli 3, 21, 25, 27 e 117 della Costituzione in relazione all’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La detenzione, secondo queste norme, potrebbe essere giustificata solo in casi del tutto eccezionali, cioè quando siano stati lesi gravemente altri diritti fondamentali, come, per esempio, discorsi di odio o di istigazione alla violenza, come affermato più volte dalla Cedu, o qualora il giornalista dia una notizia diffamatoria e non rispondente al vero, ma nella piena consapevolezza della sua falsità, come affermato dalla Cassazione. Insomma, tranne questi casi assolutamente circoscritti, i giudici italiani, in caso di condanna di un giornalista per diffamazione a mezzo stampa, non dovrebbero più infliggere più il carcere, ma eventualmente solo multe, in quanto la reclusione in cella appare incompatibile con il diritto di cronaca e rappresenta un limite sostanziale alla libertà di informazione e quindi al sistema democratico del nostro Paese. Non ci resta che attendere la sentenza della Consulta…

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