“Non si può pensare a un ‘tana liberi tutti’ dal 4 maggio. È chiaro che un Paese non regge un lockdown completo per più di due mesi, non ci vuole un economista per capirlo, ma per noi epidemiologi naturalmente non sarebbe mai ora di ripartire”. Sono le precisazioni, le indicazioni, le preoccupazioni e anche gli auspici dell’epidemiologo Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto superiore di Sanità, che ricorda, “Saranno i politici a doversi fare carico di questa decisione, tenendo conto di tutte le sfaccettature del problema. Mi sembra logico che alcune attività comincino a ripartire in maniera graduale e parziale, ma si dovrà tener conto del fatto che il virus continuerà a circolare, pertanto dovremo tenere in piedi perlomeno le misure di distanziamento sociale”. Le osservazioni direttore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Iss, sono quelle rilasciate via Skype all’agenzia Dire. Il tema è la Fase 2, Giovanni Rezza spiega: ” Se ci fossero zone del Paese ad alta incidenza e zone a bassa incidenza, naturalmente direi che la mobilità andrebbe considerata. Bisogna fare di tutto affinché il virus non si diffonda. Poi quale sia la modalità per farlo lo si vedrà”. Quanto ad una possibile seconda ondata epidemica: “Bisogna acquisire risorse umane per il controllo del territorio, porre grande attenzione all’insorgere di nuovi focolai epidemici cercando di contenerli precocemente”.
Sulla polemica sollevata dal Governatore De Luca circa la riapertura della Lombardia, Rezza spiega: “De Luca ha usato come suo solito parole vigorose, ma un fondo di verità c’è. Non si tratta di fare Lombardia contro Campania, ma abbiamo già dato troppo con la correttezza politica all’epoca dei voli da e per la Cina oppure in quella dei ‘ristoranti cinesi sì, ristoranti cinesi no’, tutti ricorderanno quel tipo di dibattito e anche di polemica. Allora, sarà la politica a decidere, ma se io dovessi dare un parere, se ci fossero zone del Paese ad alta incidenza e zone a bassa incidenza, naturalmente direi che la mobilità andrebbe considerata.
Bisogna fare di tutto affinché il virus non si diffonda. Poi quale sia la modalità per farlo lo si vedrà”. Alcune riorganizzazioni, in particolare negli ospedali possono essere considerati fattori positivi. “È stato fatto abbastanza per quanto riguarda l’aumento dei posti letto e delle terapie intensive, così come per l’implementazione degli ospedali Covid”, dice l’epidemiologo a Dire, “Ora c’è molto da fare per la medicina del territorio, dai medici di base ai dipartimenti di prevenzione, vanno rafforzate tutte quelle attività che dovrebbero servire ad identificare prontamente focolai nascenti, diagnosticando e isolando i casi, rintracciando e isolando i contatti, facendo tamponi in maniera mirata. Bisogna aumentare la capacità di fare test e ben venga l’innovazione che ci viene a supporto con delle app, per esempio, in grado di complementare il lavoro dell’uomo”.
Sulla trasmissione del virus Rezza spiega: “Non sappiamo tutto di questo virus. La maggior parte della trasmissione avviene per contatto abbastanza ravvicinato, quando una persona sta per sviluppare i sintomi lì c’è il picco, dopodiché la positività può restare anche a lungo, oppure magari una persona può negativizzarsi e tornare debolmente positività per un po’, non è detto però che sia contagiosa, perché il picco di contagiosità probabilmente c’è proprio all’inizio dei sintomi”, osserva Giovanni Rezza, “Ci sono molte cose che si apprendono strada facendo, poiché si tratta di un virus nuovo. Dal punto di vista di sanità pubblica si sa che gli ambienti chiusi, in cui i rapporti sono ravvicinati, sono a maggior rischio. Per cui è normale che possano esserlo sia l’ambiente familiare, sia un pronto soccorso ospedaliero, sia una Rsa o una Ra”.
Sui presunti ritardi nel riconoscere la presenza del Covid-19 nel nostro Paese, Rezza sottolinea: “Non so se sia stato un errore o meno quello di aver diagnosticato la presenza del virus il 20 febbraio, mentre era già in circolazione da un mese. Ci sono molte giustificazioni”, fa presente il direttore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto superiore di Sanità, “La maggior parte delle infezioni possono decorrere in modo asintomatico o paucisintomatico, possono assomigliare ai sintomi di una banale influenza, quindi durante il picco influenzale è molto difficile distinguere il Covid dall’influenza, a meno che non si verifichino casi gravi.
Se compare un caso grave in una persona anziana si può pensare che sia un’influenza o una polmonite qualsiasi, poi capita il caso grave in un giovane, come è successo a Codogno intorno alla metà di febbraio, ed ecco lì che scatta la diagnosi. Quindi ripeto, non so se questo sia stato un errore o meno.
La ‘zona rossa’ in 11 comuni del lodigiano è scattata abbastanza velocemente, dopodiché le misure di distanziamento sociale sono state implementate su scala regionale e nazionale, e questo in qualche modo ha risparmiato il centro-sud”.
Infine, sulla presunta seconda ondata epidemica: “Spero ci faremo trovare più pronti. Ma per essere più preparati c’è bisogno di investire risorse, e credo che alcune siano state già allocate a questo fine, ma soprattutto bisogna acquisire risorse umane per il controllo del territorio”, conclude il direttore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto superiore di Sanità, “perché quello che bisognerà fare è prestare grande attenzione all’insorgere di nuovi focolai epidemici, cercando di contenerli precocemente. Perché se non si fa questo c’è sicuramente il rischio di un riemergere grave del virus”.