lunedì, 14 Ottobre, 2024
Ambiente

Ispra ripulisce i mari dalle reti da pesca abbandonate

Sono anche inquinanti perché realizzate con fibra sintetica

C’è una minaccia silenziosa e spesso invisibile che si aggira tra le onde: si tratta delle cosiddette “Ghost Nets”, le “reti fantasma” utilizzate per la pesca che vengono abbandonate o perse in mare e rappresentano una delle forme più insidiose di inquinamento marino. Nell’ambito del progetto MER (Marine Ecosystem Restoration) finanziato dal Pnrr, Ispra ha dato il via alle procedure per ripulire le acque da queste attrezzature in 20 siti lungo le coste italiane di Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia, Puglia, Marche, Emilia-Romagna e Veneto. Il piano, che include la rimozione, la raccolta, il trasporto, lo smaltimento e il riciclo delle “reti fantasma” andrà avanti fino al 30 giugno 2026.

Rifiuti della pesca e acquacoltura

I dati Ispra mostrano che l’86,5% dei rifiuti in mare è legato alle attività di pesca e acquacoltura e il 94% di questi sono reti abbandonate, alcune lunghe addirittura chilometri. Le “Ghost Nets” sono pericolosissime: le praterie di Posidonia oceanica vengono danneggiate per effetto fisico dell’ombreggiamento e dell’abrasione meccanica del fondale che uccide e strappa le piante, molte specie vengono soffocate a causa dell’eccessivo accumulo di sedimenti. Anche le specie animali subiscono un danno perché le attrezzature da pesca perse in mare continuano a catturare milioni di pesci, mammiferi, tartarughe, grandi cetacei e persino uccelli in modo non selettivo e indiscriminato, senza il controllo umano, colpendo quindi anche specie minacciate e a rischio. Una volta intrappolati dalle reti fantasma, non sono in grado di muoversi morendo per fame, infezioni e lacerazioni. Si stima che da sole le reti fantasma catturino circa il 5% della quantità di pesce commerciabile a livello mondiale.

Inquinamento

Come se questo non bastasse, le reti rappresentano una nuova fonte di inquinamento: se una volta, infatti, erano realizzate con la canapa o il cotone, oggi è la fibra sintetica derivante dalla plastica il principale materiale utilizzato, che impiega centinaia di anni per decomporsi. Le reti hanno soffocato molta della fauna presente, per non parlare dei coralli, seriamente danneggiati. Inoltre, per la loro aderenza alle rocce, le reti da pesca chiudono ogni rifugio possibile per i pesci, che così sono costretti a spostarsi. Contribuiscono poi in maniera significativa all’inquinamento da microplastiche che, con il loro carico di contaminanti, possono essere ingerite dagli organismi marini ed entrano nella rete trofica, arrivando fino all’uomo.

Ghostbusters dei mari

Ecco perché l’Istituto ha già avviato le attività di monitoraggio per identificare con precisione i siti critici per la rimozione di questi oggetti e preservare la flora e la fauna locale: una procedura che coinvolgerà una squadra di “Ghostbusters dei mari”: subacquei altamente specializzati e robot sottomarini filoguidati (ROV) con braccia meccaniche per tagliare, manipolare e rimuovere le reti a profondità superiori ai 40 metri nel rispetto di un rigoroso piano di sicurezza. Non si tratta di una semplice pulizia, ma di un intervento preciso e meticoloso, simile al restauro di un dipinto, che valuta attentamente le condizioni di ogni sito per ridurre al minimo i danni alle comunità animali e vegetali e massimizzare il riciclo della plastica recuperata.

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