giovedì, 28 Marzo, 2024
Economia

Cos’è meglio fra Itexit e MES?

Il fenomeno più sorprendente di questi giorni è il tentativo dei media di addolcire la verità amara che traspare dalle polemiche fra maggioranza e opposizione su quello che è avvenuto, ma soprattutto su quello che deve ancora avvenire, nel corso del negoziato che il governo Conte sta conducendo a Bruxelles sulle modalità di reperimento delle risorse necessarie per far fronte alle conseguenze economiche del Covid-19.

Gli osservatori più acuti tentano di stemperare la polemica, affermando che le questioni sul tappeto non riguardano solo il nostro Paese, volendo così implicitamente sottolineare come la soluzione al problema non sia interamente nelle mani del governo italiano, visto che identiche polemiche stanno sorgendo in molte altre nazioni dell’Europa e taluni spingono i loro ragionamenti fino a richiamare la ormai vetusta distinzione fra paesi del Nord e paesi del sud dell’Unione: quella, per intenderci, che portò al disastro delle modalità con cui furono elargiti gli aiuti alla Grecia, sospendendone completamente la sovranità in materia economica e non solo in quella.

Ma qui dell’Italia ci occupiamo, anche perché – rispetto alla maggioranza degli altri Paesi europei – non disponiamo di quell’arma formidabile che è il referendum cui poter sottoporre (in via preventiva o successiva) le scelte che il Governo si appresta ad imporre al Parlamento, affermando che più di un ammorbidimento delle regole del MES non possiamo ottenere dalla Commissione Europea, la quale anche questa volta, come nella precedente, continua a viaggiare a trazione tedesca.

Taluni aggiungono poi che, essendo noi italiani quelli che richiedono gli aiuti, si debba necessariamente sottostare alle regole di coloro che hanno in mano i cordoni della borsa: ma chi ha messo nelle loro mani quei cordoni? Proprio questo è il punto!

Forse è tardi, ma non troppo tardi, per domandare ai nostri interlocutori in che modo e a che titolo possano essersi impadroniti di quella borsa, visto che l’unione europea-come tutte le organizzazioni sovranazionali-postula assoluta eguaglianza fra i suoi partecipanti; mi rendo peraltro conto dell’ingenuità di una simile domanda, perché da sempre il potere finisce inevitabilmente nelle mani dei più forti e noi italiani da tempo non siamo più fra quelli. L’ingenuità della domanda e però cosa diversa dalla sua erroneità: ecco perché insisto nel porla innanzitutto ai lettori di questo giornale, la cui tradizione europeista – per aver avuto De Gasperi come suo fondatore – nessuno potrebbe ragionevolmente mettere in discussione. Quei lettori dovrebbero perciò almeno domandarsi se, quando l’Unione Europea fu pensata, i suoi ideatori avessero in mente un modello fondato sull’egemonia di un gruppo di Paesi sugli altri, o meno.

Così, se la prima domanda è ingenua, la seconda è addirittura retorica: ma la retorica, si sa, serve essenzialmente a chiarire le idee non solo a chi legge, ma anche a chi scrive e allora se è vero che mai come in questo momento abbiamo bisogno della solidarietà europea, deve essere altrettanto vero che -ove quella solidarietà venga a mancare, come sembra-occorre almeno immaginare di percorrere altre strade per fare fronte alle nostre impellenti necessità.

Stampare moneta e, almeno nel breve periodo, la più semplice di quelle strade; più avanti se ne subiscono tutte le conseguenze negative – l’inflazione per prima – ma nel frattempo il sistema industriale ha avuto modo di ripartire, divenendo estremamente competitivo sul mercato internazionale, anche perché privo dei lacci e lacciuoli che anche i Trattati Europei gli hanno imposto.

Oggi tutti si preoccupano, in casa nostra, di quello che accadrebbe dell’Italia si abbandonassimo l’Euro. Quasi nessuno si è invece domandato di quello che accadrebbe dell’Europa; è facile però immaginare che, senza di noi, in poco tempo si sfalderebbe.

Se, dunque, il problema di un possibile avvio del processo di uscita dall’Unione Europea fosse tempestivamente posto all’attenzione dei nostri partner, qualche rigidità di troppo – io penso – potrebbe venir meno.

Dobbiamo invece, purtroppo, presumere che – all’esito di un negoziato ormai giunto alle sue battute finali – il problema principale del Governo Conte sarà quello di spiegare che non avrebbe potuto ottenere nulla più di quello che ha finora ottenuto: cioè molto poco, per non dire nulla; visto che-nella sostanza- ci restituiranno (imponendoci pure come utilizzarle) nulla più che le stesse risorse attraverso cui l’Italia alimenta ogni anno le finanze dell’Europa, magari generosamente aumentate del quoziente che la Banca europea deciderà di erogare in nostro favore, acquistando titoli del debito pubblico nazionale.

Sinceramente mi sembra un po’ poco, ma tant’è!

Esiste però una possibilità alternativa: quella di far saltare il banco della trattativa prima della sua conclusione, comunicando che è stata depositata in una delle due Camere la mozione che impegna il Governo ad avviare la procedura per l’uscita dall’Unione e quindi anche dall’euro.

Può essere una scelta discutibile finché si vuole, ma è sicuramente legittima: perché l’articolo 50 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea lo consente ed è, d’altronde, la strada già battuta con successo dal Regno Unito: lì i profeti di sventura che raccontavano come, a seguito della Brexit, gli inglesi sarebbero stati ridotti alla fame hanno dovuto rinviare la concretizzazione delle loro previsioni già di un anno: il che dovrebbe far riflettere anche gli italiani sulla probabilità di avvento delle conseguenze negative a suo tempo paventate per l’Inghilterra.

Itexit dunque (non so perché si insista a definirla italexit, visto che gli acronimi sono tali perché i più brevi; forse perché si teme che questa espressione richiami troppo da vicino quanto avvenuto nella terra di Elisabetta II) almeno come minaccia allo strapotere della Germania e dei suoi satelliti-tutti rigorosamente posizionati nel Nord Europa-perché quei Paesi si rendan conto del ruolo essenziale dell’Italia per la tenuta dell’Unione Europea stessa, ma anche perché prima quella procedura verrà avviata e prima riusciremo a comprendere dobbiamo se  effettivamente restare in Europa, come scelta migliore per la tutela dell’interesse nazionale.

Oggi questa proposta è considerata addirittura eversiva, domani potrebbe invece divenire lo strumento da attivare, anche se tardivamente, di fronte allo spettro del precipitare del nostro tasso di sovranità, per poi tornare sui nostri passi in cambio di una riforma in senso ideale – e non solo contabile – dell’Europa immaginata, subito dopo la guerra, da De Gasperi e Schumann.

L’avvio di Itexit, dunque, potrebbe oggi essere una scelta coraggiosa, domani diventare invece una scelta disperata.

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