venerdì, 3 Maggio, 2024
Società

La difesa in sede penale. Due limiti di troppo

La disciplina del nostro processo penale presenta delle specificità che lo differenziano nettamente dalle altre tipologie di procedimenti giudiziari attualmente vigenti in Italia, quali il processo civile, quello amministrativo, tributario, o altri e questo fenomeno è particolarmente evidente ove si consideri che il sistema processuale italiano è affidato a una pluralità di giurisdizioni rispetto all’insieme delle quali è piuttosto difficile identificare principi generali comuni a tutte, se si eccettua quello del contraddittorio: principio, peraltro, conosciuto ed applicato in tutti i sistemi processuali del mondo occidentale.

Queste differenze diventano ancora più evidenti nel momento in cui si vogliano individuare le minori garanzie offerte agli imputati, in sede di loro difesa nel processo stesso e due sono gli aspetti che meritano un’analisi approfondita: il divieto di autodifendersi – ove imputato – in sede penale e la limitazione a due del numero di difensori cui poter conferire il relativo mandato.

A differenza di quanto accade in altri tipi di processo, nel processo penale italiano è infatti previsto un espresso divieto, per l’avvocato, di difendersi da sé e un tale divieto può essere oggetto di numerose considerazioni, sia di ordine costituzionale – almeno con riferimento alla coartazione del diritto di difesa che ne risulta – che sotto il profilo della ingiustificata limitazione dello Ius Postulandi che sempre dovrebbe accompagnare lo Status di avvocato. Una simile limitazione è però radicata nella erronea convinzione per cui – a prescindere dalle competenze specialistiche dell’avvocato-imputato – la partecipazione di un difensore esterno sia cruciale per garantire un contraddittorio equo e imparziale: la logica sottostante è che, anche se l’avvocato, ove indagato, possieda le competenze tecniche necessarie per la propria difesa, lo stato emotivo legato alla sua condizione difronte alla macchina giudiziaria potrebbe pregiudicare una valutazione obiettiva e distaccata dei fatti e delle argomentazioni giuridiche da utilizzare a propria discolpa.

Questa restrizione è comunque oggetto di un dibattito tuttora non sopito, in quanto alcuni sostengono che si risolva in una negatoria, per determinate categorie di imputati (in questo caso gli avvocati), di una piena autonomia e della possibilità di esercitare pienamente i propri diritti di difesa; così la ratio della norma è contrabbandata come protezione dell’imputato stesso da una possibile mancanza di obiettività nella elaborazione e nella gestione della propria difesa

Un ulteriore aspetto peculiare della disciplina processuale consiste invece – come già detto – in una limitazione del numero di difensori a due per ciascun imputato. Questa regola mira a evitare complicazioni e rallentamenti del procedimento giudiziario che potrebbero derivare dalla presenza di un elevato numero di avvocati, intendendosi così garantire la celerità e l’efficienza del processo ed evitando al contempo possibili strategie dilatorie; tuttavia nessuno studioso è finora riuscito a spiegare in modo convincente per quale ragione un simile argomento sarebbe valido solamente in sede penale, ma non in altre sedi processuali. Questa limitazione, in realtà, si traduce inevitabilmente in una restrizione delle garanzie difensive, soprattutto in casi complessi o particolarmente gravosi, dove la difesa potrebbe trarre beneficio dall’apporto di un team più ampio di legali specializzati nelle diverse aree del diritto: difficile dunque negare che, in determinate circostanze, quella limitazione possa incidere sulla qualità della difesa e, di conseguenza, sul diritto di difesa nel suo complesso.

Il processo penale italiano si configura quindi come il nucleo di un sistema che, pur ponendo al centro la tutela dei diritti dell’imputato, introduce specifiche restrizioni alla difesa e questa scelta del legislatore riflette – in ultima analisi – la tensione tra l’esigenza di garantire un processo equo, rapido ed efficiente e quella di tutelare i diritti dell’individuo verso il quale si indirizza la potestà punitiva dello Stato.

Mentre però il divieto di autodifesa, per l’avvocato, e la limitazione del numero di difensori a due possono anche essere pubblicizzate come misure volte a preservare l’integrità e l’efficacia di ogni processo penale, ciò non dimeno la loro presenza nella disciplina processuale continua a sollevare numerosi interrogativi rispetto alle loro potenziali ripercussioni sulle garanzie difensive che debbono essere assicurate agli indagati e agli imputati sia rispetto alle previsioni contenute nell’articolo 6 della Convenzione EDU, che con riferimento a quanto previsto dall’omologo articolo 47 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali.

La prima sfida per il legislatore e per l’ordinamento giudiziario penale nel suo complesso è dunque – oggi – quella di bilanciare le richiamate esigenze, garantendo al contempo che le restrizioni imposte non compromettano il nucleo essenziale del diritto di difesa.

Vista però l’insensibilità dimostrata dalla dottrina e dalla giurisprudenza su questi temi, non vorrei essere avvinto dal timore di chieder troppo.

Condividi questo articolo:
Sponsor

Articoli correlati

Autotrasporto, il Governo dopo l’annuncio del blocco apre alla trattativa. Cna-Fita: si discuterà di costi e riforma del settore

Marco Santarelli

Dalla Farnesina nuovi aiuti umanitari all’Ucraina

Emanuela Antonacci

Gregorini (Cna): fotovoltaico per risparmiare energia e CO2. Duecentomila imprese pronte

Ettore Di Bartolomeo

Lascia un commento

Questo modulo raccoglie il tuo nome, la tua email e il tuo messaggio in modo da permetterci di tenere traccia dei commenti sul nostro sito. Per inviare il tuo commento, accetta il trattamento dei dati personali mettendo una spunta nel apposito checkbox sotto:
Usando questo form, acconsenti al trattamento dei dati ivi inseriti conformemente alla Privacy Policy de La Discussione.