sabato, 27 Luglio, 2024
Società

“Femminicidi. Prevenire, ascoltare, educare”

Intervista a Paola Balducci, membro dell'Osservatorio sulla violenza di genere

Quest’anno le statistiche ci dicono che i reati, gli omicidi in particolare, anche quelli di mafia, sono diminuiti ma non si può dire certamente lo stesso per quello che riguarda i femminicidi. Ne abbiamo parlato con l’onorevole Paola Balducci, docente di procedura ed esecuzione penale e membro dell’Osservatorio sulla violenza di genere.

Questa estate i femminicidi non sembrano fermarsi mai, la definirei una vera e propria strage di donne, tanto più se aggiungiamo anche gli stupri di gruppo. Cosa sta succedendo
Molti di questi episodi hanno in comune il tema del possesso: il marito o il compagno (spesso ex partner) viene lasciato dalla donna, che per motivi diversi non intende più continuare la relazione. La reazione folle è quella estrema di uccidere la donna per impedirle di fare una sua scelta di vita. La donna non ha il diritto di scegliere, sono meccanismi di sopraffazione che hanno origini antiche. Preoccupanti anche i casi in cui esplode la volontà di eliminazione fisica di tutto il contesto familiare, che si traduce nell’uccisione di tutti i membri della famiglia e nel suicidio del partner aggressore. Una folle logica che insiste nell’idea: “Io elimino te, ma elimino anche me stesso” e molto spesso anche i figli. “Non dobbiamo esserci più né io, né te, né i figli che sono stati oggetto del nostro rapporto”.

E come dovremmo affrontare in generale questa ondata di violenza?
Insisto da tempo che non è con l’aumento delle sanzioni e con nuove fattispecie di reati che si possa impedire questa piaga. Se una persona è determinata a uccidere l’oggetto del proprio possesso – sottolineo possesso – e addirittura a uccidere sé stesso fino lasciare i figli orfani, obiettivamente ha delle reazioni psicologiche così forti che nessuna norma, anche quella più repressiva, può fargli cambiare idea. E ritorniamo al tema, affrontato da tanti, della prevenzione, della cultura del rispetto per l’altro sesso che deve nascere dalle famiglie e dalle scuole. Il tutto deve essere anche supportato da presenze sul territorio di persone esperte nei problemi riguardanti il disagio familiare, il disagio nella comunità in cui si vive. Si deve iniziare da questo. Lo Stato e le istituzioni devono svolgere un lavoro capillare inserendo risorse economiche importanti.

Tornando ancora alla violenza sulle donne e ai femminicidi c’è qualcosa che potrebbe aiutare ad evitare l’escalation?
Riprenderei un tema importante: il riconoscimento dei segnali che la donna, la famiglia, i figli mandano. Spesso sembrano impercettibili, ma a un esame attento ci sono. La donna li manda in tanti modi alla famiglia di origine, al contesto amicale o lavorativo. Bisogna saperli percepire e non sottrarsi. Piccole e grandi violenze psichiche e fisiche, figli che vivono un disagio forte che si manifesta a scuola, anche non frequentandola. Parlo, cioè, della troppo indifferenza anche della collettività. L’abbiamo visto molte volte come l’indifferenza abbia contribuito a far realizzare i gravi reati di cui si è fatto protagonista l’uomo. l’indifferenza è quella che fa dire “non è cosa mia, non mi interessa”. Emblematico è il racconto dello scrittore De Giovanni “La bambola di pezza”, che rappresenta magistralmente questo fenomeno e che fa dire a un vicino di casa – che conosceva il dramma di una famiglia in crisi per l’abbandono del marito e della madre che per vendetta uccide la bambina – “il colpevole sono io”. Conosceva le sofferenze della bimba che gli aveva anche consegnato la sua bambola, aveva osservato per mesi quello che avveniva nella casa accanto, ma aveva preferito girarsi dall’altra parte.

Forse le donne continuano a provare vergogna, a darsi colpe che non hanno e a restare in silenzio?
Conosciamo tutti qual è il tema: bisogna dare un aiuto alle donne a trecentosessanta gradi, aiutare le donne a denunciare quando si accorgono che vi sono atteggiamenti minacciosi da parte del proprio partner. Le minacce sono di vari tipi, sono psicologiche, fisiche, bisogna saperle riconoscere e immediatamente reagire. È fondamentale però l’ascolto. Qualora la donna si determini a denunciare non deve trovarsi di fronte altri problemi magari legati alla mancanza di una specifica competenza di chi è tenuto a ricevere la denuncia o di chi non è educato all’ascolto. Fortunatamente ci sono donne e uomini delle forze dell’ordine attenti e preparati, ma non è sempre e ovunque così.

Come valuta le proposte di riforma del Codice Rosso?
Un’ultima osservazione vorrei proprio farla rispetto all’ultima modifica. Condivido pienamente quanto detto nella sua intervista dal Procuratore della Repubblica di Palermo De Lucia, ossia che sanzionare gli uffici giudiziari che nei tre giorni dalla denuncia della donna non abbiano ascoltato la persona offesa con conseguente presa in carico del Procuratore con eventuale assegnazione ad altro magistrato, complica i problemi, non li risolve certo. Non tutti gli uffici giudiziari hanno sezioni specializzate e il magistrato di turno ha già un carico giudiziario anche di emergenze notevole. Basterebbe che si facciano solleciti alla polizia giudiziaria perché invii in tempo le denunce dopo aver ascoltato la vittima e che riesca anche a operare un filtro ragionato e competente. Dietro una denuncia si nascondono tante altre cose, se non si ha attenzione, capacità, competenza, anche psicologica, nel riconoscere il grado di fondatezza e di gravità della denuncia non si potrà procedere tempestivamente. Sarebbe anche opportuno indagare sui precedenti della persona accusata che potrebbero essere spia della sua personalità, ma anche sullo storico della donna denunciante per verificare se vi siano già state nel tempo altre denunce per maltrattamenti o altro.

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