venerdì, 6 Dicembre, 2024
Società

Intimidazioni: amministratori locali sotto tiro, sindaci più esposti

Report del ministero dell’Interno: casi in tutta Italia

Gli ultimi raccontanti dalle cronache riguardano il sindaco di Nola, i colleghi di Bultei e di Nurri, e il sindaco di Terrasini. Bombe nel giardino di casa, auto incendiate, incursioni armate negli uffici comunali. I sindaci continuano ad essere gli amministratori locali maggiormente presi di mira. Lo riporta l’aggiornamento riferito al primo trimestre 2023 del rapporto del Ministero dell’Interno sulle minacce agli amministratori locali. Da gennaio a marzo sono stati registrati 136 atti intimidatori di cui più della metà (56,6%) rivolti contro sindaci. Secondo alcuni operatori, e associazoni come Avviso Pubblico, non bisogna abbassare la guardia perché la leggera flessione del numero di casi è anche da considerare come la spia di una “cifra oscura”, ovvero di un sommerso di indimidazioni avvenute ma non denunciate.

Non solo sud, anche Torino

L’andamento è in diminuzione se si confrontano il I trimestre del 2023 rispetto al I trimestre del 2022. In particolare, a livello nazionale si rileva un decremento del 19% essendo stati registrati 136 episodi di intimidazione nel I trimestre 2023 rispetto ai 168 dello stesso periodo dell’anno precedente. La regione che nel I trimestre 2023 ha segnalato il maggior numero di atti intimidatori è stata la Calabria con 17 eventi casi accertati, seguita da Campania (16) e Sicilia (12). L’area metropolitana maggiormente interessata dal fenomeno è quella di Napoli con 13 episodi, seguita da Cosenza (10) e Torino (8). Da notare che nel 2022 il 21% dei 326 casi sono avvenuti in comuni che in un passato più o meno recente sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose.

La Calabria più intimidatoria

Il focus sulle vittime conferma la maggior incidenza di casi ai danni delle figure costituenti il front per il cittadino ovvero sindaci, consiglieri e assessori comunali. Rispetto al I trimestre 2022, per il modus operandi i social network/web sono il mezzo utilizzato rimasto stabile (da 28 a 27 casi) mentre per l’invio di missive presso abitazioni/uffici si segnala un decremento del 24,1% (da 29 a 22 casi). Le modalità quali i danneggiamenti dei beni pubblici/privati risultano le più frequenti, con una diminuzione del 5% (da 40 a 38 casi). Le tensioni politiche e sociali hanno costituito complessivamente il 33% del totale delle matrici. Nel primo trimestre 2023, inoltre, sono stati registrati 9 atti di intimidazione rivolti ad amministratori regionali: quattro nei confronti di presidenti di regione, quattro ai danni di assessori regionali e, finora, un solo caso ai danni di un consigliere regionale.

 Attenzione in Friuli, Marche e Abruzzo

Se si considera il numero di casi non in cifre assolute, ma in rapporto alla popolazione residente cambiano anche le prospettive perché  tra le prime cinque regioni ritroviamo al primo posto la Calabria con lo 0,87 per 100 mila abitanti, ma al secondo appare la Sardegna (11 casi, 0,67), seguita dal Friuli Venezia Giulia (4 casi, 0,33), Marche (5 casi, 0,33) e Abruzzo (4 casi, 0,30). Infine di questi 136 casi di inizio 2023, 65 sono di matrice ignota (47,8%), 24 riconducibili a tensioni sociali (17,6%), 21 a tensione politica (15,4%), 16 di natura privata (11,8%) e 10 di criminalità comune (7,4%). Gli atti riconducibili a tensione politica e sociale hanno costituito complessivamente il 33% del totale.

 Osservatorio nazionale dal 2015

Il monitoraggio di questa casistica è tenuto, dal  2015, dal Viminale attraverso l’Osservatorio nazionale sugli atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali, che si avvale del lavoro dell’organismo di supporto, il quale raccoglie i dati della Direzione centrale della Polizia criminale. Gli atti intimidatori di questo tipo sono aumentati dal 2016 al 2018 passando da 454 a 574 in un anno. Dal 2018 sono andati sempre più in diminuzione fino al 2022 quando se ne sono contati, in tutto, 326. I dati del primo trimestre 2023 farebbero ben sperare in un loro contenimento, ma va tenuta alta l’attenzione perché questo fenomeno appare avere più radici culturali che di criminalità organizzata. Come ha più volte ricordato il ministro Matteo Piantedosi, nel corso di incontri di presentazione dei rapporti annuali,  “le reali radici di questa forma di deriva sono innanzitutto sociali e culturali, attengono all’educazione alla legalità, alla cittadinanza attiva, al rispetto del pluralismo d’opinione, e non sono sempre e solo riconducibili alle mafie, alla corruzione e al malaffare”.

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