martedì, 15 Ottobre, 2024
Ambiente la casa di tutti

A che punto siamo col recupero ecologico? Ce lo dice l’arte

Per rappresentare qualcosa che si ha in mente i nostri antenati si dipingevano il corpo, oppure costruivano ornamenti o anche lasciavano segni su pareti di pietra levigata. Il simbolismo è la manifestazione di sentimenti, stati d’animo, intenzioni, ma anche di sapere, di conoscenze, di informazioni. Come lo è l’arte.
Simbolismo e arte, forse, sono il lascito ancora più importante di strumenti da caccia, cocci e pietre scheggiate per ricostruire le grandi transazioni dell’umanità e per comprendere il lungo, interminabile, rapporto tra l’uomo e gli ecosistemi.

Molte teorie e modelli che cercano spiegazioni delle varie rivoluzioni dell’ecologia umana – del Paleolitico Superiore, ad esempio, o del Neolitico, dell’età del bronzo o della rivoluzione industriale – si appoggiano sempre di più alle percezioni del rapporto con il sé o del rapporto tra il sé e il resto del mondo; ovvero la Natura. Guido Chelazzi, professore emerito di Ecologia all’Università di Firenze, lo spiegava bene quando scriveva: “qualcuno ha notato che all’origine delle economie basate sulla domesticazione, nel Lavante e nell’Anatolia centrale, è associata la comparsa di simboli della fertilità femminile e maschile che lasciano intravedere veri e propri elementi di una nuova ideologia del dominio ecologico.”

E’ come se una nuova rappresentazione del mondo cambiasse il mondo stesso.
E’ come se la “transizione ecologica” che stiamo vivendo fosse il risultato di una “plasticità ecologica” dell’umanità che si appresta a una nuova rivoluzione culturale. E forse questo è anche il motivo del fatto che attorno agli obiettivi, più concreti, di decarbonizzazione, riduzione degli sprechi delle risorse e degli ecosistemi, eliminazione di certi impatti ambientali si polemizza o si elevano gli scontri tra chi è d’accordo e chi no. Volano, inutilmente, accuse di negazionismo o catastrofismo e, lo ha scritto di recente anche il direttore di questo giornale, entrare in questa disputa non ci interessa. “E’ una perdita di tempo”. Cerchiamo di starne fuori, ma non possiamo non osservare che queste dispute (inutili) sono nient’altro che segnali di una nuova mentalità nascente che ha già decretato la fine dell’ideologia del dominio ecologico – che ha raggiunto il suo apice con la rivoluzione industriale – e il cammino verso un nuovo approdo di ripristino ecologico.

La legge sul ripristino della natura che il Parlamento Europeo ha appena varato è un altro grande segnale di questo lungo percorso, ma la spaccatura evidenziata dalla votazione è un altrettanto segnale che siamo soltanto all’inizio del percorso. Così come lo sono, evidentemente, le grandi attenzioni alle diversità e alle biodiversità, alle minoranze etniche e alle fragilità sociali, alle preferenze sessuali o alle destinazioni finanziarie sostenibili.

Le pitture rupestri della fine del Paleolitico, ci insegnano gli archeologi, offrono una impronta evidente di capacità evolute di rappresentazione di sé e del mondo. Siamo a una distanza di circa 30.000 anni fa da noi e sono sorprendenti le “impronte di mani” della Grotta delle Mani Dipinte (Argentina) o i dipinti di animali della grotta Chauvet (Francia). Nel solo continente europeo sono stati scoperti 200 siti archeologici, tra grotte e ripari dipinti, di cui 120 in Francia e 55 in Spagna; mentre altri sono in Italia, in Portogallo, in Romania e in Russia. Era avvenuto un fenomeno “globale” di transizione ecologica? Certamente era nato un pensiero moderno che certificava un nuovo rapporto tra l’uomo e gli ecosistemi nel quale viveva

. Gli esperti parlano del fatto che “lontano da qualunque suggerimento diretto proveniente dall’ambiente reale, l’uomo di Chuvet o di Lascaux manifestava in modo cosciente la sua capacità di osservare mentalmente e ri-creare la comunità biotica della quale una volta era stato membro tra tanti.” Un enorme passo verso la presa di dominio della natura da parte dell’umanità, ma indubbiamente, un importante passo verso quello che molto più tardi abbiamo chiamato “progresso dell’umanità”. Un passo che, probabilmente, ci ha spinti “fuori dalla natura”, ma allo stesso tempo, ci ha proiettati verso la nostra contemporaneità.

Più tardi, alla rivoluzione industriale, pensandoci diversamente e rappresentando il mondo dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande abbiamo inventato la macchina a vapore, la pennicillina, abbiamo cominciato a viaggiare in aereo, siamo andati a verificare se in altri pianeti vicini c’è vita, siamo diventati capaci di produrre energia atomica. E’ sempre in queste nuove rappresentazioni di sé e del mondo che nasce l’uomo moderno e che inizia quella che oggi, molti di noi, pensano sia l’apice di quella posizione “fuori dalla natura”.

Nel frattempo, non solo l’umanità, ma anche il Creato si è evoluto e ha manifestato una sua propria plasticità. L’uomo e gli ecosistemi che lo inglobavano hanno viaggiato in parallelo in una “plasticità ecologica” indissolubile. Non è chiaro se ha dominato prima la Natura e poi l’Umanità o tutte e due o nessuno dei due. Probabilmente dipende dalle rappresentazioni che ne facciamo. Certo l’idea che di tanto in tanto sulla Terra si sia verificato qualcosa fuori dall’ordinario e il pianeta si sia rifatto il look del punto di vista biologico è molto condivisa tra geologi e paleontologi. Qaundo si incide sulla “produttività primaria”, attraverso i cambiamenti climatici o altro, la Terra viene sconvolta. E forse siamo a un nuovo tornante di comunità biotiche e, forse, i maggiori indizi di dove stiamo andando – come in passato – ci verranno non tanto dalla Scienza, ma dall’Arte; dai nuovi simboli che stiamo creando, dalle nuove rappresentazioni di noi stessi e del Creato che, nonostante, è il nostro destino.

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