venerdì, 3 Maggio, 2024
Economia

Crollo dei piccoli negozi. Confesercenti: chiuderanno in 52 mila. Servono misure urgenti

Una accelerazione del crollo dei piccoli esercizi commerciali.
In confronto al 2019, a fine 2023 si conteranno oltre 52mila imprese del commercio in meno, per un declino complessivo del -7%. “Un’accelerazione del processo di desertificazione”, rileva la Confesercenti, “su cui incide la doppia crisi vissuta dal comparto che, dopo lo stop imposto dalla pandemia, ha visto interrompersi la ripresa a causa degli effetti di inflazione e caro-energia, che hanno eroso la capacità di spesa delle famiglie: negli ultimi due anni, il potere d’acquisto degli italiani è infatti calato di 14,7 miliardi di euro, oltre 540 euro in meno per nucleo familiare”.

L’attacco dell’online

Un vero e proprio crollo, che pesa sul tessuto dei negozi di vicinato più della concorrenza dell’online. È quanto emerge da “Il Commercio oggi e domani”, lo studio sul futuro della distribuzione commerciale condotto da Confesercenti e Iosos presentato a Roma alla Sala di Vibia e Adriano a Roma, alla presenza del Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.

Commercio che resiste

Per l’occasione, Confesercenti e IPSOS hanno condotto un’indagine intergenerazionale su mille consumatori di tutte le età, dai Baby Boomer alla Generazione Z, per vagliare la preferenza per il canale d’acquisto online e offline. “Dalle risposte degli intervistati, emerge un quadro più favorevole per il retail tradizionale di quanto generalmente si ritenga”, spiega la Confederazione, “L’offline è ancora il canale preferito. Nonostante la progressiva affermazione dell’eCommerce, i negozi fisici continuano ad essere ancora il canale d’acquisto preferito per sei delle nove categorie merceologiche prese in esame”.

Gli acquisti dei giovani

L’insieme di chi ha acquistato nell’ultimo anno esclusivamente, prevalentemente o qualche volta online è maggioritario, infatti, solo nel comparto ‘viaggi e vacanze’ (dove raggiunge il 72%), elettronica e prodotti tecnologici (62%) e moda (52%). La quota di clienti che, nello stesso periodo, ha comprato solo, prevalentemente o qualche volta nei negozi fisici, invece, è maggioritaria per tutte le altre sei tipologie: articoli e abbigliamento sportivo (54%), cosmetica, profumeria e cura del corpo (58%), arredamento e complementi d’arredo (69%), cibo e bevande d’asporto (69%), prodotti per la pulizia della casa (77%) e alimentari (82%).
I negozi non sono da boomer.  Non sorprendentemente, i Baby Boomers costituiscono la fascia d’età più votata agli acquisti offline, mentre le generazioni Y e Z sono più orientate all’online. Ma mentre la preferenza per l’eCommerce è particolarmente spiccata per la generazione Y, formata dai nati tra il 1981 e il 1996, la successiva generazione Z sembra tornare a valutare positivamente l’esperienza dello shopping nei negozi fisici.

Chi contea cosa

I cosiddetti Zoomers, infatti, pur se più ‘online’ della generazione X e dei Baby Boomers, superano la propensione media all’acquisto in rete solo per alimentari e prodotti per la pulizia di casa, cibo e bevande d’asporto, cosmetica ed elettronica. “Ma se il rischio posto dal commercio online”, osserva la Confesercenti, “peraltro usato sempre di più anche nel commercio vicinato, appare dunque ridimensionato, lo stesso non si può dire per lo stato di incertezzacreato dalla frenata dei consumi”.

Il calo del potere d’acquisto

L’erosione dei redditi reali è stata infatti particolarmente forte già nel 2022, durante il quale si è registrata una perdita di potere d’acquisto di 11,8 miliardi di euro. “Tendenza che purtroppo continuerà”, stima la Confederazione, “anche quest’anno: secondo le nostre stime, nel 2023 il potere d’acquisto delle famiglie subirà un’ulteriore riduzione di 2,9 miliardi di euro e la capacità di spesa raggiunta nel 2021 non sarà recuperata prima del 2027”.

L’inflazione energetica

A pesare, secondo lo studio della Confederazione, l’onda lunga dell’andamento al rialzo dei prezzi dell’energia e del gas, cresciuti velocemente negli ultimi due anni. “Aumenti che si sono riversati sui costi di produzione, trasporto e distribuzione, portando inevitabilmente ad un incremento generalizzato dei prezzi finali di prodotti e servizi”, spiega la Confesercenti, “Un’inflazione energetica da cui ancora non siamo rientrati: ad aprile, i prezzi al consumo hanno registrato un aumento dell’8,3%, mezzo punto percentuale in più rispetto a marzo. E nei primi quattro mesi del 2023, il tasso di inflazione è stato pari all’8,8%, superando la media inflazionistica dell’8,2% registrata nel 2022”.

L’effetto sui risparmi

Per fronteggiare l’aumento dei prezzi, le famiglie hanno dato fondo alle proprie riserve. “Nel 2022”, calcola la Confesercenti, “gli italiani hanno destinato ai consumi circa 52,9 miliardi di risparmio accumulato dalle famiglie e, senza un’inversione di tendenza, ne bruceranno altri 27 miliardi nel 2023”.

Il caro-vita svuota i carrelli

Anche se ha attutito l’impatto dell’inflazione, il sacrificio del risparmio non è però bastato a mantenere i livelli di consumo delle famiglie. “Nel 2022 il volume delle vendite al dettaglio è calato del -0,8%, sintesi di un aumento del +1,9% registrato dai prodotti non alimentari e di un vero e proprio crollo del -4,2% per i beni alimentari”, sottolinea lo studio, “Una dinamica che si è aggravata nel primo trimestre del 2023: tra gennaio e marzo i volumi delle vendite alimentari sono scesi in media del -4,7%, mentre le vendite non alimentari hanno registrato una flessione del -1,6%, per un calo complessivo dei volumi del -3%”.

Il caso “caro pasta”

La situazione appare particolarmente grave per alcuni prodotti alimentari specifici. È il caso della pasta le cui vendite, nel primo trimestre di quest’anno, hanno subito un calo del 10,7% in volume. “Un declino mai visto”, segnala con preoccupazione la Confederazione degli esercenti, “per il prodotto simbolo per eccellenza della tradizione gastronomica italiana nel mondo, e che rischia di avere pesanti ripercussioni sulle tante eccellenze produttive del nostro Paese ad esso legate”.

L’impatto sui negozi di vicinato. A diminuire rispetto al 2019, in numeri assoluti, secondo i dati emersi dallo studio, sono soprattutto i negozi di moda (-8.553 unità rispetto al 2019, con un calo del -6,3%), anche se le riduzioni percentuali più elevate vengono registrate da Giornali e articoli di cartoleria (-13,5%, per 3.963 imprese in meno). In forte contrazione anche le imprese attive nella vendita di pane e torte, (-6,1%, per 679 attività in meno) e di carni (-5,7%, -1.663 imprese). Più contenuta la perdita per le librerie (-2%, o -112 imprese).

Non tutti, vanno male

È il caso delle imprese specializzate nella vendita di frutta e verdura, che rispetto all’ultimo anno prima della pandemia crescono del 2%, per un totale di 432 imprese in più. Bene anche i negozi specializzati in Pesci, crostacei e molluschi (+107 attività, per una variazione positiva del +1,2%) e quelli della distribuzione bevande, che aumentano di 291 attività sul 2019, con una crescita del +4,5% rispetto al periodo precedente alla pandemia.

Difficile aprire una  attività

Più che le chiusure di negozi, il problema è la mancanza di nuove aperture, evidenzia la Confesercenti. “Una dinamica evidente dai dati sulla natalità e mortalità delle imprese: nel 2022 sono nate solo 22.608 nuove attività, il 20,3% in meno del 2021. Un numero del tutto insufficiente”, calcola la Confederazione, “a compensare le oltre 43mila imprese che hanno abbassato per sempre la saracinesca, e che fa chiudere l’anno con un bilancio negativo per oltre 20mila unità, per una media di oltre due negozi spariti ogni ora. E nel 2023 la situazione non migliora: nei primi tre mesi dell’anno le nuove aperture sono ancora il 18% inferiori a quelle registrate nello stesso periodo del 2019”.

Il futuro, come cambiarlo

Considerando la tendenza attuale, prevede la Confederazione, è possibile stimare nei prossimi sette anni – da qui al 2030 – “una contrazione di circa 73 mila attività commerciali di vicinato (-11% sul totale), ad un ritmo di 18 negozi spariti al giorno”, puntualizza la Confesercenti, “Si tratta però di un futuro che può essere cambiato. Confesercenti propone una doppia piattaforma di interventi, per la ripresa dei consumi e per il sostegno di negozi e botteghe”.
“Per far ripartire la spesa delle famiglie e contrastare il caro-vita, è necessario”, sottolinea la Confederazione, “dare attuazione velocemente alla delega fiscale, riducendo la pressione delle imposte sulle famiglie. In particolare, sarebbe opportuno detassare gli aumenti contrattuali per il prossimo biennio: una simile misura potrebbe generare 3 miliardi di euro di consumi aggiuntivi già a partire dalla prossima tornata contrattuale”.

Le riforme urgenti

“Allo stesso tempo”, sollecita la Confederazione degli esercenti, “per sostenere le attività di vicinato, occorre introdurre misure strutturali, con un pacchetto di formazione per gli imprenditori, sostegni all’innovazione, una fiscalità di vantaggio per le piccole imprese della distribuzione con fatturato inferiore ai 400mila euro annui, e la cedolare secca per le locazioni commerciali, subordinandone l’accesso alla concessione di un canone concordato al locatario, verificata e garantita dalle associazioni di categoria. Siamo convinti”, conclude la Confesercenti, “che, con queste misure, sarebbe possibile ridurre l’erosione delle quote di mercato delle piccole superfici, recuperando 5,5 miliardi di euro di vendite, e salvando quasi 30mila attività commerciali di vicinato dalla scomparsa nei prossimi sette anni”.

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