venerdì, 19 Aprile, 2024
Il Cittadino

Quarantena e diritti umani

Condivido con la totalità degli occidentali nati negli ultimi cento anni – per meglio intenderci nati dopo la pandemia dell’influenza “spagnola” che tra il 1918 e il 1920 contagiò mezzo miliardo di essere umani e ne uccise cento milioni – la fortuna di non conoscere, se non attraverso la letteratura o qualche descrizione cinematografica, le epidemie sanitarie.

Metodo di conoscenza che porta all’esaltazione degli aspetti romantici della peste manzionana, dei lati eroici ed umanitari di chi dà assistenza agli ammalati, alloa coscienza dello sciacallaggio che inevitabilmente si crea attorno a ogni fenomeno, pur tragico e doloroso, che per essere affrontato necessità di fondi, non importa se pubblici o derivanti da raccolte di solidarietà.

Neppure la letteratura, però, ha potuto ipotizzare quello che sta accadendo oggi nel mondo – è limitativo e pericoloso dire in Cina: il problema riguarda tutti – in una situazione di mobilità permanente delle persone ed in una civiltà che, piaccia o non piaccia, è fatta tutta, anche nei più sperduti villaggi, non solamente di nativi, ma di gente proveniente da ogni dove.

Il “coronavirus”, originario della regione di Wuhan in Cina, si sta diffondendo a macchia d’olio, è già stato riscontrato in America e, da ieri, anche in Europa (Francia).

Francamente non so se la Cina abbia reagito con tempestività ed efficacia, né se il problema potesse essere riconosciuto fin dalle sue prime manifestazioni.

Certo la Cina è encomiabile per la reazione attuale, per il progetto di costruire in dieci giorni un grande ospedale da mille posti letto (ciò che, se riuscirà, rivoluzionerà il sistema edificatorio in tutto il mondo), ma soprattutto per il potere e la forza di avere messo in quarantena, isolandola dal resto del mondo, un’intera regione di quaranta milioni di abitanti, con città grandi anche il doppio di Roma. Isolamento completo: voli e treni annullati, strade chiuse; visite alla Grande Muraglia vietate.

Non ci pensiamo mai, ma il concetto di “quarantena” – subire la coercizione dell’isolamento per ragioni sanitarie – stride con i diritti fondamentali di ogni persona: libertà personale, di domicilio, di circolazione, di riunione e associazione.

Ciascuno di noi è pronto, in caso di malattia, di ricoverarsi e cessare dalle sue attività. Ma voglioso di ricominciare non appena migliora, anche leggermente, e di fare ritorno alla propria casa e alle proprie abitudini.

Addirittura, ciascuno di noi, ha il diritto di rifiutare cure e di rifiutare il ricovero.

La quarantena è una coercizione, una privazione di quei diritti fondamentali che è veramente difficile conciliare col diritto collettivo alla salute.

Nel decennio scorso l’umanità ha dovuto affrontare una minaccia che, oggi, pare minore rispetto al “coronavirus”. Mi riferisco al virus Ebola che, proprio per superare i problemi giuridici legati alla quarantena e alla necessità di isolamento di territori, ha indotto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a dichiarare il virus come minaccia alla pace – risoluzione 18 settembre 2014, n. 2177 – per potere imporre, nell’inerzia di alcuni Stati dove il fenomeno si era sviluppato, le misure sanitarie opportune.

II problema oggi torna attuale e, almeno in Occidente, per ora rimane individuale o, al massimo legato a possibili portatori sani (non credo che l’Organizzazione mondiale della Sanità si sia ancora pronunciata al riguardo).

Accetteremmo di farci isolare e privare delle libertà per il pericolo di potere essere un agente del virus?

Il problema c’è lo dovremmo porre, con attenzione. Da vetero-giurista mi in mente soltanto un istituto desueto, quasi dimenticato, quello dell’«ordine pubblico», che era una panacea per situazioni complesse.

Certo, però, non vorrei essere nei panni di chi debba adottare un provvedimento amministrativo di “quarantena” individuale o collettiva, soggetta all’unico diritto che non può essere sospeso: quello della tutela giurisdizionale, con previsione, quindi – in Italia, non in Cina – di fronte ad una timidezza o inerzia o semplice indecisione di chi deve tutelare la salute pubblica, di un’ennesima delega ai giudici di una risoluzione che dovrebbe essere propria del potere esecutivo.

Che necessiterebbe, quindi, di un provvedimento primario.

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