martedì, 16 Aprile, 2024
Società

Non c’è civiltà senza cultura della vita

Cosa intendiamo oggi con il termine ‘cultura’? Come lo interpretiamo alla luce dei fatti positivi o negativi del vissuto quotidiano? Esiste in base a questi primi interrogativi una ‘cultura della vita’?

Proviamo a rispondere partendo dai territori.

Le cronache locali ma anche quelle nazionali sulla stampa e in tv ci hanno tristemente assuefatto a episodi, degni di un vero bollettino di guerra forse per certi versi più preoccupante dei vari conflitti sul pianeta.

Femminicidi, crimini familiari, uccisioni per motivi futili e stradali, risse col morto, incidenti sul lavoro, banali liti degenerate in stragi, bullismo fra ragazzi, decessi per droga. È la cruda realtà dell’informazione potremmo rispondere asettica constatazione di una patologia sociale entrata nella mente delle persone come un di più quotidiano che riempie i bar e i cortili di giudizi e condanne senza seguito.

Anche le vicende della scriteriata guerra in Ucraina punta di un iceberg di un conflitto ormai mondiale ‘fatto a pezzi’ come ricorda Papa Francesco per lo più con civili innocenti uccisi ci sollecita alla riflessione sulla cultura della vita e come viene trattata ancora dagli individui, dalle società e dagli Stati.

Se per ‘cultura’ indichiamo la riflessione sulle tradizioni, sul pensiero, sulla formazione, sul vissuto quotidiano, sul modo di confrontarsi al mistero del soprannaturale e al senso della nostra esistenza, al rispetto del nostro pianeta insomma alla difesa della integrità fisica e spirituale della persona oggi questo impegno si perde spesso fra tanti twitter, instagram, sms, e chiacchiere audiovisive. Non che i social network siano del tutto inutili ma si ha la plateale sensazione che dimentichino i reali sentimenti delle relazioni umane. Il senso di queste relazioni non possono non essere orientate a proteggere in ogni situazione la vita umana sin dal suo concepimento. La cultura della vita nella quotidianità va dunque considerata come analisi, riflessione e intervento per tutelare la stessa vita umana come bene primario assoluto su ogni altro bene di questo mondo. Ad un certo ambiente intellettuale questa riflessione può apparire scontata o banale ma poi nella sostanza viene dimenticata o rimossa.

Prendiamo l’occupazione lavorativa. In essa è fondamento ogni informazione e formazione sia dell’imprenditore sia del lavoratore destinatari di una cultura della prevenzione a scongiurare incidenti spesso letali in un Paese come il nostro dove il verbo ‘prevenire’ è spesso sconosciuto. Una legislazione carente su questo fronte si aggiunge alle negligenze e inottemperanze degli organi statali e degli addetti alla sorveglianza nei cantieri ma alla fine in ogni posto lavorativo.

A maggior ragione nella politica sanitaria la protezione della vita umana non è solo frutto esclusivo di interventi farmacologici o logistici ma deve anzitutto strutturarsi nella formazione culturale e sociale alla protezione ‘olistica’ vale a dire delle totali esigenze organiche del cittadino, psicologiche e corporee prevenendo morbilità e viralità. Urge perciò ad esempio un serio aggiornamento del piano pandemico giacché senza illusioni dobbiamo essere sempre pronti a sconfiggere i virus che pullulano sulla terra.

Allo stesso modo la tutela dell’ecosistema per i territori e sul mare deve avere primaria cura a protezione preventiva delle persone dagli sconvolgimenti climatici attraverso sistemi di infrastrutture che almeno attenuino i fenomeni estremi della natura.

Una cultura dell’accoglienza della vita umana fin dal concepimento indica la primaria protezione del bambino nascente che in modo naturale deve progredire con la crescita attraverso la sequenza di cura fin dal parto. In particolare contribuendo tutti gli attori della gestazione a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza si ricostruisce un percorso culturale finalizzato anche alla massima accoglienza nella protezione economico-sociale e lavorativa per la futura mamma. Questo impegno è avulso dal presentarsi come una indicazione ideologica o frutto di qualche colorazione partitica.

I futili motivi con i quali vengono valutati in giudizio gli omicidi e i femminicidi poi indicano la banalizzazione della la vita umana grazie anche alla presentazione di questa come prodotto da ‘commerciare’ e trattare per la conquista di altri beni materiali ritenuti più importanti.

Sul fronte delle guerre presentate di recente anche come ‘operazioni militari speciali’ quali fossero giustificate come azioni di polizia mostrano la vigliaccheria di queste motivazioni in totale spregio per la vita umana. Questa in sostanza viene mercanteggiata per i vari aumenti di potere sulla scena mondiale anche da potenze, nessuna esclusa, avide di ultronee influenze militari e strategiche su porzioni del pianeta. Non si esita a guerreggiare spavaldamente uccidendo civili innocenti, bambini, stuprando donne, distruggendo edifici pubblici e condomini nelle città con buona pace, si fa per dire, dell’ONU e del Consiglio di Sicurezza.

Insomma ancora una volta la vita di chi non ha colpe viene oltraggiata e annientata ormai sotto gli occhi degli spettatori di smartphone che vengono spesso usati solo per filmare violenze dimenticando il reale intervento nell’ aiuto alle vittime.

Dunque dal concepimento alla morte naturale la cultura della vita deve iniziare con l’ educazione nelle scuole e accompagnare tutta la società nel (ri)costruire un domani anzi già un oggi attuativo della dignità e dell’integrità di ogni persona. È un impegno per tutti noi come primo annuncio della vera pace globale e di più fraterne relazioni umane.

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