venerdì, 19 Aprile, 2024
Salute

Mortalità cardiovascolare, in italia rischio 43%, media Ue 35%

In Italia il 14,7% degli over 60 presenta un rischio alto o molto alto di mortalità causata da un evento cardiovascolare, rispetto al 10,3% della media europea. La percentuale sale al 77,2 considerando un rischio moderato (contro il 74,4% dell’Europa). Per quanto riguarda, invece, le fratture osteoporotiche maggiori, il 20,5% degli Italiani con più di 60 anni manifesta un alto rischio, in relazione alla media europea del 22,5%. Le percentuali, poi, tendono a salire, se puntiamo i riflettori sull’alto rischio di mortalità cardiovascolare negli uomini over 65, che nel nostro Paese arriva al 42,9% (contro il 35% della media europea).
Questi, in sintesi, i risultati dello screening eseguito lo scorso anno in 5 città europee (Barcellona, Bruxelles, Monaco, Nizza, Zurigo e Rimini) nell’ambito della campagna #ProtectUrLife, sviluppata per sensibilizzare la popolazione sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari e dell’osteoporosi, molto diffuse ma, ancora oggi, sotto-diagnosticate e sotto-trattate.

La Campagna #ProtectUrLife, promossa da Amgen e sviluppata in collaborazione con EIT Health, Università Tecnica di Monaco, Università di Barcellona e BePatient (società specializzata nella gestione di database sanitari), con il supporto dell’International Osteoporosis Foundation e della World Heart Federation, nasce dalla consapevolezza che le cause di eventi come fratture da fragilità, infarti e ictus, siano in molti casi sovrapponibili e si alimentino a vicenda.

“Il problema consiste nel fatto che le malattie cardiovascolari – afferma Arrigo Cicero del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università degli Studi di Bologna – oltre ad essere nel nostro Paese ancora la prima causa di morte (responsabili del 44% di tutti i decessi), danno origine ad eventi ‘intermedi’ (come infarto e ictus) che possono determinare una grave perdita di autonomia. Per questo motivo – continua Cicero – se si riuscisse ad applicare una buona prevenzione, si potrebbe evitare o ritardare l’insorgenza di eventi che compromettono la qualità di vita di una persona”.

Fra le patologie croniche che affliggono gli anziani, quelle cardiovascolari sono sicuramente quelle di cui si conoscono meglio i fattori di rischio.

“L’ipertensione, ad esempio – aggiunge Cicero – è considerata un fattore di rischio modificabile per malattie cardiache e cerebrali. Insorge in soggetti anche relativamente giovani e, nella maggior parte dei casi, si riesce a gestire molto bene, sia modificando lo stile di vita, sia con terapie antiipertensive mirate. Già con l’ottimizzazione del carico calorico, la riduzione del sale nella dieta ed evitando l’esposizione al fumo di sigaretta si può ottenere una buona diminuzione dei valori pressori. L’ipercolesterolemia è un altro fattore di rischio modificabile che, essendo regolata da cause genetiche, risponde meno al cambiamento degli stili di vita, anche se, conducendo una ‘vita sana’ si riduce il rischio globale. In ogni caso – commenta Cicero – nei casi particolarmente refrattari abbiamo a disposizione opzioni farmacologiche molto efficaci, che ci possono aiutare nel trattamento”.

Le conoscenze medico-scientifiche, sempre più approfondite, hanno messo in luce come i fattori di rischio delle malattie cardiovascolari possano coincidere, se non perfino alimentare, quelli dell’osteoporosi, e viceversa come, ad esempio, l’età avanzata, il fumo, l’inattività fisica, l’eccessivo consumo di alcol. Non solo, la diminuzione della massa ossea aumenta il rischio di mortalità cardiovascolare-correlata e di malattia coronarica. Allo stesso tempo, la qualità delle ossa può essere ridotta nei pazienti con diabete, uno dei fattori di rischio cardiovascolari.

“L’osteoporosi interessa circa 5 milioni di persone, di cui 1 milione sono uomini – dichiara Maria Luisa Brandi, Presidente FIRMO-Fondazione Italiana Ricerca sulle Malattie dell’Osso -. Le conseguenze più gravi di questa malattia sono le fratture da fragilità, perché rappresentano un grave ostacolo all’invecchiamento in buona salute, con ripercussioni sull’indipendenza e la qualità di vita di chi le subisce. I numeri sono sottostimati: queste fratture, che si presentano per traumi minori, in Italia colpiscono ogni anno circa 550 – 600 mila persone e riguardano principalmente femore, caviglia, polso, vertebre. Tuttavia, se consideriamo quelle della colonna vertebrale la diagnosi viene eseguita solo in un quarto dei casi. L’osteoporosi compare in maniera asintomatica e per questo la maggior parte delle persone non è consapevole di essere a rischio”.

All’incremento del rischio di fratture da osteoporosi concorrono diversi fattori: costituzionali, genetici e ambientali, anche se il principale fattore di rischio è il fatto di aver già avuto un’altra frattura da fragilità.
“Oltre al fattore genetico (non modificabile) – aggiunge Brandi – esistono altre condizioni che aumentano il rischio di osteoporosi, come avere una bassa massa ossea (il rischio aumenta durante la menopausa) e l’assunzione di alcuni farmaci, come i cortisonici o le terapie ormonali, che vengono utilizzati nel tumore prostatico e mammario. La prevenzione, dunque, gioca un ruolo ‘chiave’ per la salute delle ossa. La prima prevenzione avviene durante l’infanzia, educando i bambini ad introdurre una buona qualità di calcio, a stare all’aria aperta, affinché la pelle sintetizzi la vitamina D e, naturalmente, praticare attività fisica regolare”.

“Il fattore critico – aggiunge Italia Agresta, Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare – è che nel nostro Paese generalmente si affronta il tema dell’osteoporosi quando la persona ha già avuto una frattura da fragilità, quindi quando la patologia è già avanzata. Per questa cronicità, oggi, spesso non viene fatta alcuna prevenzione pre-primaria, mentre andrebbe implementata, agendo con passi ‘chiave’ per evitare la fragilità ossea. Nelle persone con fattori di rischio, con gli screening, si capirebbe subito la struttura dell’osso e sarebbe più facile agire con misure preventive. La situazione diviene più complessa, invece, quando si interviene su un soggetto con osteoporosi già manifesta”. (Italpress)

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