venerdì, 26 Aprile, 2024
Il Cittadino

Una massa di individui

«Una massa di individui non fanno un popolo» ha notato Rocco Buttiglione, intervenendo venerdì a Pescara ad un convegno del neonato movimento politico Verde è Popolare, formatosi attorno all’eterno democristiano Gianfranco Rotondi ed alla sempreverde Paola Balducci.

Rilievo quanto mai esatto con riferimento alla situazione attuale del nostro Paese ed assolutamente pertinente nel contesto in cui è stato espresso, allorché si faceva riferimento alle pulsioni politiche della Prima Repubblica.

La disastrosa situazione del nostro Paese è stata certificata domenica scorsa, con i dati avvilenti di affluenza alle urne: il 20,93% ai referendum e, quasi vergognoso, il 54,73% per le elezioni amministrative. Sì! Un elettore su due non ha votato: non per una consultazione astratta, ma per l’elezione del “suo” sindaco, del capo dell’ente che ci illumina la strada davanti casa, che raccoglie la nostra spazzatura, che vive con la sua comunità e che, specie nei piccoli centri, mostra una faccia diversa dello Stato.

Le pulsioni della Prima Repubblica erano oggettivamente diverse.

Vi confesso, mentre mi accingo a scrivere queste minime riflessioni, che mi sto interrogando se non incominci a cedere ai rimpianti tipici della mia fase di vita (oggi rientro tra gli anziani; un ventennio fa mi avrebbero collocato tra quelli della “terza età”) e non cominci a rimpiangere i tempi andati.

Mi rispondo di no e mi autoassolvo perché mantengo una viva curiosità ed un sincero entusiasmo di fronte a qualsiasi novità: che mi piace ed approvo sempre, come manifestazione della vita che, per affermarsi, deve necessariamente rinnovarsi continuamente.

Certo non posso non rilevare come non esista più, nella nostra società, quella comune aspirazione alla medesima finalità e come vi sia una frammentazione delle coscienze, fino per l’appunto ad un individualismo separato da una coscienza sociale.

L’Italia uscita dalla Seconda Guerra Mondiale è stata voluta fortissimamente da un popolo unificato dalla dignità datagli dalla Resistenza: che non fu un patrimonio di una sola parte politica, ma che vide la partecipazione variegata: cattolici assieme a comunisti; i quali (per l’occasione) dialogarono  addirittura con i socialisti; di liberali e repubblicani; dell’ importantissimo partito d’azione.

Insomma tante persone, tante individualità, diversità incolmabili (una benefica biodiversità, diremmo oggi): ma l’idea di una casa comune, l’aspirazione ad uno Stato democratico e giusto e valori condivisi da tutti.

Se avete tempo e se avete voglia – mi rivolgo alla piccolissima percentuale di lettori giovani che i report statistici della redazione attribuiscono a questa rubrica – studiate come è nata la Costituzione.

Scoprirete come sia stato possibile pervenire ad una Carta dei Diritti fondamentali organica, consequenziale, chiara, concisa, partendo da posizioni ed ideologie contrapposte.

Contrapposte, ma non inconciliabili, perché tendenti ad un medesimo fine comune.

Quello che manca nelle «guerre tra bande» (la definizione è sempre di Buttiglione) che caratterizza l’attuale azione politica.

Ridotta – e lo annoto con tristezza – ad una passerella televisiva di slogan, che mascherano l’assoluta mancanza di un qualsiasi progetto, di una qualsiasi concezione dello Stato che si vorrebbe proporre. Ma che, addirittura, nessuna di quelle persone che proclamano quegli slogan ha la più pallida idea di come realizzarli.

Una lotta non politica, ma di potere; il potere per il potere: e la triplice ripetizione è voluta per evidenziare come sia stata smarrita nella politica  la funzione di servizio.

Così, perdurando la guerre tra bande, nessuna riforma: storiche, negli anni settanta, quelle della famiglia, dello Statuto dei lavoratori e altre minori (ma non meno importanti); poi il nulla.

Un dibattito politico vuoto, che non a caso ha generato una serie impressionante di governi di tecnici, sconosciuti alla Prima Repubblica e che, ideologicamente (se si può usare tale parola per simili argomenti), si limita al dibattito sulle tasse, non esistendo altra differenza concreta.

Ma senza che nessuno pensi di riformare il settore fiscale, pensando al rispetto per il cittadino: che per l’Erario – l’ho già scritto e lo ripeto – non è tale, ma è un “contribuente”, quindi un suddito considerato solo per quella sua funzione.

Nessuna riforma, ma lotte tra bande e lotte tra poteri dello Stato, con la resa del potere legislativo,

vulnerabile dal e sottomesso al potere giudiziario.

La società, probabilmente per la tecnologia attuale, ha perduto la socialità.

Io per sapere “che si diceva” andavo in piazza ed incontravo gente; poi andavo nella sezione PRI di Via Barberini e contribuivo a dare una forma politica ai fatti. Si dibatteva così, c’era confronto, scambio di idee e, con la propria individualità si faceva parte di un popolo: che era unico, fatto di gente diversa, che celebrava periodicamente la sua festa e la sua sovranità con le votazioni.

C’era un popolo che partecipava alla politica; se non c’è un popolo la politica sarà inevitabilmente dispotica verso gli individui.

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