giovedì, 25 Aprile, 2024
Società

Parità di genere? Meglio “proporzionalità di genere”

L’Agenda 2030 dell’ONU all’Obiettivo 5 pone la Parità di genere; in ogni consesso nazionale e internazionale si parla di parità di genere, anche all’ultimo G 20 di Roma (con la Regina Maxima d’Olanda) e al Cop 26 di Glasgow.
Se ne è parlato anche al Convegno di Saint Vincent organizzato dalla Discussione il 22 – 23 – 24 Ottobre scorsi.

Dopo tanti anni di richieste, di battaglie, di costituzione di comitati, di documenti di organi istituzionali locali, nazionali e internazionali, non si viene a capo del problema.
La motivazione, a mio avviso, risiede non solo nel maschilismo sociale persistente, ma anche nel tentativo di conservare il potere nelle mani di chi lo detiene (uomini nella stragrande maggioranza) nell’ambito della sfera propria delle lotte di potere, senza alcuna motivazione discriminatoria di genere.
Fino a quando si potrà continuare in tale situazione e prevedere una “legittima rivalsa” del mondo femminile a danno dell’altro genere, non è dato saperlo; ma così non si può continuare.
Comunque una considerazione va fatta e riguarda la concessione del diritto di voto alle donne.
Tale diritto non ha trovato attuazione dovunque nello stesso tempo; alcune volte è stato concesso e poi ritirato; altre volte è stato concesso solo per le elezioni amministrative; la prima realtà istituzionale a concedere il diritto di voto alle donne è stata la Repubblica Corsa nel 1755, poi la Repubblica Romana 1848, il Granducato di Toscana 1849, la Nuova Zelanda 1893, il Granducato di Finlandia 1907, la Norvegia e la Danimarca 1913, la Russia 1917, e poi a seguire gli altri Paesi (Italia 1946).
Ancora adesso vi sono Paesi (prevalentemente mussulmani) nei quali non è stato concesso il voto alle donne o è concesso parzialmente.

Quindi se il voto non è universalmente concesso, a maggior ragione non ci potrà essere la parità di genere.
Il senso teorico e concreto della fruizione di un diritto è condizionato, oltre che dall’archetipo machista, anche dalle culture dei popoli e da come queste culture interpretano la democrazia e la sua applicazione sociale e civile.
Per esempio attualmente si sta facendo leva sulla convenienza a dare un ruolo alla donna in alcuni determinati campi, perché porta benefici e i benefici a cui ci si riferisce sono prevalentemente economici (facciamo svolgere questo ruolo alla donna perché ci guadagniamo).

Questo non è né il modo corretto di interpretare la democrazia, né il modo giusto di avvicinarsi alla parità di genere.
Finora in letteratura si parla di “concessione” del voto alle donne e mai di “diritto”; così come la parità di genere attiene al ruolo che la donna deve ricoprire e quindi ancora una volta si parla di “concessione” di ruolo.
Quando ci si trova di fronte a qualcosa di octroyé (concesso), ci potrà sempre essere qualcuno che non intenderà lasciare tale concessione e quindi l’abolirà.
Sarebbe molto più importante che si ragionasse sul Principio di attuazione della Democrazia, sottolineando che ci si riferisce ad un processo che dovrà essere completato per avere una “democrazia compiuta”.

Fino a quando non è stato concesso (o non sarà concesso nei Paesi dove non è previsto) il voto alle donne la democrazia non era compiuta.
Resterà comunque incompiuta fino a quando le rappresentanze istituzionali non avranno – non già una parità di genere, come prevedrebbe la riforma del sistema elettorale europeo – ma una “proporzionalità di genere” nel definire i sistemi di rappresentanza istituzionale a tutti i livelli.
È la “proporzionalità di genere” che restituisce giusta rappresentanza alle istituzioni democratiche ad ogni livello, perché la “proporzionalità di genere” rappresenta esattamente la composizione sociale del popolo di ogni Paese, senza alterazioni o sbilanciamenti verso un genere o l’altro; le esigenze di genere sarebbero rappresentate fedelmente rispetto alla struttura sociale per la quale si elegge la rappresentanza.
Inoltre, la “proporzionalità di genere” è una attuazione della Democrazia, il suo completamento, l’ultimo passaggio di un cammino lungo quasi un secolo e mezzo; la “proporzionalità di genere” non potrà mai essere messa in discussione, pena la messa in discussione della stessa Democrazia tout court di un Paese.

La “proporzionalità di genere” farebbe cadere la domanda di “parità di genere” (quindi il riconoscimento di un ruolo al genere penalizzato), perché il confronto si opererebbe sulle competenze e le scelte potrebbero essere puntuali e in ossequio alle esigenze del Paese.
Inoltre la “proporzionalità di genere” si attuerebbe di fatto anche nella società civile, sociale, economica, finanziaria, salvaguardando la specificità delle specializzazioni richieste e sanando anche il gender-gap nel mondo del lavoro.
Non so se sarà facile attuare il completamento del processo democratico o ci saranno resistenze, ma questo è un Principio di Democrazia e chi si dovesse opporre sceglierebbe di essere contro la Democrazia, Valore sempre moderno di governo dei popoli.

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