giovedì, 25 Aprile, 2024
Attualità

60 anni di Medicina alla Cattolica, Papa: “Senza memoria niente radici”

Papa Francesco ha celebrato la Santa Messa nella Sede romana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in occasione del Sessantesimo anniversario di inaugurazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia. L’apertura della Scuola medica, avvenuta il 5 novembre 1961 alla presenza di San Giovanni XXIII, rappresentò il completamento del progetto di Padre Agostino Gemelli di dar vita a un’università che mettesse la persona umana al centro di ogni attività di ricerca e di formazione. A ricordare quel momento, nell’anno in cui l’Università Cattolica celebra il proprio centenario, il Rettore, Franco Anelli, e l’Assistente ecclesiastico generale, monsignor Claudio Giuliodori, che hanno espresso al Santo Padre la più profonda gratitudine dei docenti, del personale, degli assistenti pastorali, delle studentesse e degli studenti dell’Ateneo per la sua presenza in una ricorrenza così importante per la comunità universitaria.

“Mentre commemoriamo con gratitudine il dono di questa sede dell’Università Cattolica, vorrei condividere qualche pensiero a proposito del suo nome. Essa è intitolata al Sacro Cuore di Gesù, a cui è dedicato questo giorno, primo venerdì del mese. Contemplando il Cuore di Cristo, possiamo lasciarci guidare da tre parole: ricordo, passione e conforto – ha detto nella sua omelia Papa Francesco -. Nella fretta di oggi, tra mille corse e continui affanni, stiamo perdendo la capacità di commuoverci e di provare compassione, perché stiamo smarrendo questo ritorno al cuore, cioè il ricordo, la memoria. Senza memoria si perdono le radici e senza radici non si cresce. Ci fa bene alimentare la memoria di chi ci ha amato, ci ha curato, risollevato. Io vorrei rinnovare oggi il mio “grazie” per le cure e l’affetto che ho ricevuto qui. Credo che in questo tempo di pandemia ci faccia bene fare memoria anche dei periodi più sofferti: non per intristirci, ma per non dimenticare, e per orientarci nelle scelte alla luce di un passato molto recente – ha aggiunto –

Se vogliamo amare davvero Dio, dobbiamo appassionarci dell’uomo, di ogni uomo, soprattutto di quello che vive la condizione in cui il Cuore di Gesù si è manifestato, cioè il dolore, l’abbandono, lo scarto; soprattutto in questa cultura dello scarto che noi viviamo oggi”. Poi Papa Francesco ha spiegato che “tante incertezze ci spaventano: in questo tempo di pandemia ci siamo scoperti più piccoli, più fragili. Nonostante tanti meravigliosi progressi, lo si vede anche in campo medico: quante malattie rare e ignote! Quando trovo, nelle udienze, persone, soprattutto bambini, bambine, e domando: “È ammalato?” rispondono “Una malattia rara”. Quante ce ne sono, oggi! Quanta fatica a stare dietro alle patologie, alle strutture di cura, a una sanità che sia davvero come dev’essere, per tutti. Potremmo scoraggiarci. Per questo abbiamo bisogno di conforto. Incoraggiamoci con questa certezza, con il conforto di Dio – ha aggiunto –

E chiediamo al Sacro Cuore la grazia di essere capaci a nostra volta di consolare. È una grazia che va chiesta, mentre ci impegniamo con coraggio ad aprirci, aiutarci, portare gli uni i pesi degli altri. Vale anche per il futuro della sanità, in particolare della sanità “cattolica”: condividere, sostenersi, andare avanti insieme”. Per il Rettore Anelli è “una ricorrenza che cade in un tempo speciale e intenso per il nostro Ateneo perché quest’anno celebriamo i cento anni dalla fondazione, avvenuta nel dicembre del 1921. Si tratta di una coincidenza importante per la nostra storia. Infatti con l’avvio dei corsi di medicina giungeva a compimento il progetto originario di padre Gemelli. Per lui, medico, l’Università dei cattolici italiani non poteva non ospitare una facoltà dedicata agli studi e alla pratica della medicina. Impresa ardua, ma indispensabile, perché, con questo gesto, il nostro fondatore sembra dirci che tutta la nostra opera di studio e insegnamento, in qualsiasi facoltà, deve guardare alle persone con la stessa cura che i medici riservano ai sofferenti: l’esperienza universitaria è infatti un’esperienza di prossimità”.

“Nel dramma della pandemia ne abbiamo avuto rinnovata certezza – ha spiegato Anelli – Anzitutto con l’impegno intenso e coraggioso dei medici e del personale sanitario del Policlinico, ma al medesimo tempo con lo sforzo dell’intero corpo docente e del personale dell’Università per non interrompere l’esercizio della missione educativa, per non perdere il contatto con gli studenti e consentire a ciascuno di loro di proseguire il proprio percorso di studi. Nel corso di questi sessant’anni, la Facoltà di Medicina e Chirurgia ha fatto grandi progressi nell’attività didattica e di ricerca, mantenendo una missione chiara e immutata: unire, come lei ci insegna, il linguaggio della mente, del cuore e delle mani, e porli tutti al servizio del malato, nel quale si riflette l’immagine dell’umanità”. Per il monsignor Giuliodori “abbiamo ancora bisogno di essere confortati e orientati nella realizzazione dell’affascinante missione, ma anche difficile e complessa, di formare testimoni dell’amore misericordioso di Dio: medici, personale sanitario e amministrativo, che sappiano prendersi cura con le più alte competenze scientifiche e con autentica compassione dei più bisognosi che qui hanno il volto dei malati sofferenti e afflitti da gravi patologie”.

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