martedì, 19 Marzo, 2024
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 La genetica inversa, il coronavirus e i dubbi su Whuan

La comparsa di nuove varianti del Covid-19 riaccende l’interesse rispetto alla natura del nuovo coronavirus. In particolare, il Wall Street Journal alimenta dubbi sull’origine naturale della pandemia, ipotizzando l’esistenza pre-pandemica della sequenza di Sars-CoV2, di cui la Cina ad un certo punto decise di sopprimere le sequenze. In buona sostanza, l’ipotesi che possa essere “fuoriuscito” da un laboratorio sperimentale torna alla ribalta e divide gli scienziati sulla legittimità degli studi di genetica inversa, quella che modifica il genoma dei virus, potenziandoli per studiarne effetti e antidoti. Abbiamo chiesto delucidazione al professore Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute della Temple University di Philadelphia.

Professore può spiegarci in cosa consiste esattamente la genetica inversa, nota anche come GoF (Gain of Function)?
Si tratta di un metodo di genetica molecolare che serve per meglio caratterizzare e comprendere le funzioni di un determinato gene alterandolo e manipolandolo. Questo metodo può essere utilizzato per creare animali geneticamente alterati, per valutare l’effetto delle mutazioni genetiche sul fenotipo, ma anche per creare agenti con diminuita patogenicità, ma comunque in grado si sollecitare la produzione di anticorpi.  Dalle alterazioni specifiche al genoma virale nascono le vaccinazioni (vaccini attenuati in tensione) più avanzate se confrontate con i vaccini inattivati calore-mediati tradizionali. È possibile, quindi, ingegnerizzare in laboratorio il genoma di virus presenti negli animali in natura, nel tentativo di prevederne le future mutazioni e capire se possano comportare salti di specie dall’animale all’uomo, ma anche per valutarne la virulenza e la capacità di trasmettersi alla popolazione umana.
La GoF offre, quindi, la possibilità di creare artificialmente in laboratorio nuovi patogeni. Non è pericoloso?
La genetica inversa svolge un ruolo cruciale nello sviluppo delle celle geneticamente costruite, permettendo agli scienziati di produrre delle modificazioni genetiche in grado di determinare l’acquisizione di una nuova funzione del gene o di potenziarne una preesistente. Da un punto di vista terapeutico è usata estesamente. Si tratta di una scienza molto utile, sempre che venga realizzata nel rispetto delle norme di sicurezza, etiche e di trasparenza.
Ma l’etica non è universale, è condizionata dalle diverse culture. È ipotizzabile che in Cina venga interpretata in maniera diversa e che sia tutto partito da lì?
Questo dubbio è nato per la presenza a Wuhan dello “Wuhan Institute of Virology”, uno dei principali centri mondiali per la ricerca sui coronavirus, nel quale si effettuano studi di genetica inversa. Ma facciamo un passo indietro. Nel dicembre 2019, da Wuhan, partì la diffusione di un nuovo agente virale. Con il sequenziamento del materiale genetico del virus, si parlò di spillover, ossia di salto di specie, da una specie all’altra, con successiva stabilizzazione e diffusione tra gli individui della nuova specie. L’isolamento della sequenza virale presentava circa il 96% di omologia con un Betacoronavirus del pipistrello Rhinolophus, dimostrando che fosse frutto di una selezione naturale. Inoltre, analizzando la proteina spike di Sars-CoV2, capace di legare molto bene il recettore umano ACE2, sembrò confermarsi questa origine naturale. È lo spillover che non convinse in maniera unanime scienziati e opinione pubblica mondiale, anche proprio per la coincidenza della presenza dello “Wuhan Institute of Virology”.
Quindi ancora non si può escludere nulla. Alcuni scienziati sostengono che è talmente alta la pericolosità di questi virus manipolati che è impossibile concepire protocolli di sicurezza che evitino al 100% gli incidenti, è così?
Lo ripeto la scienza ha bisogno anche di queste sperimentazioni. Il problema della sicurezza è legato esclusivamente al rigore con cui si seguono le linee guida e il grado di responsabilità individuale.
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