A novembre i timori di una crisi del sistema imprenditoriale del commercio sono diventati una realtà. I segni più temuti si sono concretizzati al punto che la Confcommercio non fa mistero delle difficoltà ormai strutturali delle imprese. Affanni che sono l’inizio di un declino che metterà ko l’intero settore. A determinare gli scricchiolii che annunciano il crollo è stato un mese di novembre molto al di sotto delle aspettative. Basta osservare il calo registrato che ha toccato il 6.9% di valore e il 7,4% in volume. Sono le stime Istat in cui si sottolinea che il calo è determinato dal comparto dei beni non alimentari, settore fortemente colpito dall’applicazione delle nuove misure di chiusura legate all’emergenza sanitaria. Il fatto più controverso e pericoloso è l’avvitamento delle imprese.
La diminuzione delle vendite ha investito sia la grande distribuzione (-25,7%)sia, in misura inferiore, le imprese operanti su piccole superfici (-16,9%). Numeri che non lasciano spazio all’ottimismo, nemmeno quello più cauto. D’altronde anche il settore, alimentare che rimane nel cuore degli italiani, ha subito un aumento dell’1%, mentre le vendite dei beni non alimentari sono diminuiti di oltre il 13%. Il dato che più segna la svolta, che racchiude i peggiori incubi degli esercenti che operano in negozi, sono due: i loro affari calano del 14% mentre gli acquisti on line e commercio elettronico sono in forte aumento, con un più 50%.
Gli analisti di Confcommercio, infatti, evidenziano che le restrizioni messe in atto nel mese di novembre hanno, infatti, fortemente penalizzato la domanda di beni non alimentari, azzerando in molti casi le già deboli aspettative degli operatori di un possibile moderato contenimento delle pesanti perdite subite nei mesi primaverili. Non c’è nemmeno da sperare nei dati di dicembre perché il profondo acuirsi della crisi rende più concreto il rischio, di quello che la Confcommercio più teme, ossia un crollo dei negozi, o come indica il Centro studi “una depauperazione del sistema imprenditoriale”.
D’altronde non potrebbe essere diversamente, con molte aziende che, in presenza di un prolungato vuoto di domanda a cui non corrispondono sostegni adeguati, “sono già uscite o usciranno dal mercato”. L’analisi può spingersi su un territorio ancora più preoccupante perché per le piccole imprese di alcuni settori come l’abbigliamento e le calzature, i danni inflitti dalla pandemia si sono trasformati in disastri. Ancora una volta gli esercizi in presenza di clienti si sono dimostrati fragili di fronte alla invasione del commercio elettronico. Il balzo in avanti, a novembre, degli acquisti sul web è la dimostrazione più chiara di un fenomeno che appare inarrestabile. Con una strada obbligata, che la stessa Confcommercio vede come necessaria, quella che vedrà una parte delle risorse europee impiegata per spingere innovazione e digitalizzazione anche delle micro e piccole imprese. Un passo obbligato ma anche un azzardo perché la chiusura di negozi impoverirà i centri cittadini e quelli commerciali.