Nonostante il drastico ridimensionamento dell’aliquota dal 110% al 65%, il Superbonus continua a pesare, e non poco, sulle casse dello Stato. Secondo l’ultimo report dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, nei primi tre mesi del 2025 l’onere pubblico è aumentato di ulteriori 1,8 miliardi di euro. Un incremento che porta il valore complessivo del beneficio fiscale concesso ai cittadini italiani che hanno usufruito della misura per ristrutturare e rendere più efficienti le loro abitazioni a quota 126 miliardi di euro. Si tratta di una cifra imponente, che evidenzia l’inerzia finanziaria di un provvedimento nato in piena pandemia per rilanciare il settore edilizio e, più in generale, l’economia nazionale. Anche se nel 2024 erano state introdotte importanti limitazioni normative per contenerne l’impatto, il “colpo di coda” della misura si è fatto sentire ancora nel 2025, sia in termini economici che territoriali.
Il nuovo aumento degli oneri si concentra in particolare in tre regioni. La Campania ha fatto registrare un incremento del 3,4% della spesa, pari a 301,6 milioni di euro in più. Seguono le Marche (+2,5% e +87,6 milioni) e il Molise, anch’esso con un aumento del 2,5%, che corrisponde a 19,3 milioni di euro. Più contenuti, invece, i rialzi in regioni come la Puglia (+0,6%, +38,1 milioni), la Valle d’Aosta (+0,6%, +3,4 milioni) e la Sardegna (+0,4%, +12,7 milioni).
Sono dati m, questi, che sembrano rappresentare l’ultimo scampolo di una corsa durata quasi cinque anni, che si avvia ora al tramonto. Infatti, salvo modifiche legislative dell’ultimo momento, il Superbonus non sarà più operativo a partire dal 2026.
Vantaggi reali o bolla economica?
Fin dalla sua nascita, il Superbonus è stato una misura profondamente divisiva. Da un lato, i suoi sostenitori ne esaltano gli effetti positivi: aumento dell’occupazione, rilancio del Pil, incremento delle entrate fiscali (Irpef, Ires, Iva) e, non da ultimo, benefici ambientali connessi all’efficientamento energetico degli edifici. Un sostegno pubblico che, secondo questa lettura, si ripagherebbe nel tempo attraverso maggiore crescita e minori emissioni. Dall’altro lato, i detrattori, tra cui Bankitalia e Corte dei Conti, mettono in luce i rischi e le distorsioni. Secondo uno studio della Banca d’Italia, i benefici ambientali generati dal Superbonus coprirebbero il costo sostenuto dallo Stato solo in un arco temporale di circa 40 anni. Inoltre, da un’indagine sempre della stessa istituzione, emerge che un quarto dei beneficiari avrebbe comunque effettuato i lavori, anche senza l’incentivo: ciò significa che almeno 45 miliardi di euro sono stati spesi per incentivare interventi che si sarebbero realizzati comunque.
Ancora più critica la valutazione sulla natura “‘regressiva’ del provvedimento: a beneficiare delle detrazioni sono stati prevalentemente cittadini con maggiore capacità di spesa, spesso proprietari di immobili plurimi, alimentando così disuguaglianze territoriali e sociali.
Qualità a rischio
Oltre agli aspetti economici, c’è un altro lato oscuro del Superbonus: la qualità degli interventi. L’impulso eccezionale ha infatti generato un boom incontrollato nel settore edile. Secondo l’Istat, il Superbonus ha contribuito alla crescita economica nel biennio 2021-2022 con un impatto positivo compreso tra l’1,4% e il 2,6% del Pil. Un risultato significativo, che ha sicuramente contribuito a far uscire il Paese dalla crisi post-Covid. Ma l’effetto collaterale non si è fatto attendere: tra fine 2020 e fine 2023, i costi di costruzione sono aumentati del 20%, di cui metà riconducibile proprio al Superbonus. Molte imprese improvvisate, spesso guidate da soggetti senza reale esperienza nel settore, sono nate sull’onda dell’opportunità. Oggi, molte di queste stanno chiudendo. La qualità degli interventi, condizionata da tempistiche serrate e da un’elevata domanda concentrata, risulta spesso carente. Non è escluso, quindi, che nei prossimi anni emergano criticità strutturali negli edifici ristrutturati.
Un ulteriore effetto collaterale del Superbonus si è verificato nel settore degli appalti pubblici. Nel corso del 2024, l’impennata dei costi dei materiali ha reso necessaria una revisione dei prezzi per molte opere già avviate, mettendo in difficoltà la Pubblica amministrazione. Il risultato? Ritardi, sospensioni e un generale rallentamento nella realizzazione di infrastrutture e interventi pubblici fondamentali.
Mezzo milione di edifici ristrutturati
I numeri complessivi del Superbonus fotografano un intervento ampio ma non capillare. Al 31 marzo 2025, sono stati eseguiti 499.709 interventi edilizi, pari al 4,1% del totale degli edifici residenziali italiani. Il Veneto guida la classifica con 59.846 asseverazioni e un’incidenza del 5,7%, seguito da Emilia Romagna (5,5%), Trentino Alto Adige (5,4%), Lombardia (5,3%) e Toscana (5,2%). Nel Mezzogiorno, invece, il provvedimento ha attecchito molto meno: Sicilia (2,2%), Calabria (2,6%), Puglia (2,9%) e Molise (3%) registrano i tassi di partecipazione più bassi. Il dato più impressionante è forse quello relativo al costo medio per intervento: 252.147 euro a carico dello Stato per ciascun edificio. Un valore che schizza in alto in regioni come la Valle d’Aosta, dove si toccano i 402.014 euro. Seguono Liguria, Campania, Basilicata e Lombardia, tutte sopra i 300 mila euro. Più contenuti i costi in regioni come la Toscana (184.781 euro), la Sardegna (188.643) e il Veneto (197.017 euro).