La Chiesa dei santi ha riconosciuto le virtù eroiche del Cardinale József Mindszenty, arcivescovo di Esztergom – Budapest durante gli anni della occupazione comunista dell’Ungheria.
József Mindszenty era nato a Csehimindszent il 29 marzo del 1892 da una famiglia povera e contadina di discendenza tedesca; a 13 anni entra in seminario ed a 23 anni è ordinato sacerdote. Due anni dopo insegna religione e già da quel tempo – siamo all’epoca della velleitaria ma terroristica repubblica di Béla Kun – le sue prediche ed i suoi scritti sono caratterizzati dalla veemenza con la quale si scaglia contro il “terrorismo rosso” ed i “metodi e lo spirito materialista”, in nome delle tradizioni del nobile popolo magiaro ed in nome dei valori perenni dello spirito e della religione cattolica, valori per i quali in seguito tante sofferenze dovrà sopportare.
Per questo viene gettato, senza processo, in carcere. Dopo la sua liberazione Mindszenty riprende la crociata anticomunista ancora più intransigentemente ed ancora con più decisione di prima, per questo egli non si limita alle prediche, ma ingrandisce la parrocchia sua e quelle del circondario, apre nuove scuole cattoliche, intensifica la propaganda della dottrina cattolica e dei Papi di Roma.
Nel 1944 egli viene nominato Vescovo di Veszprém, poche settimane prima che le truppe dell’Asse dilagassero all’Est. I rapporti con “il nuovo paganesimo” – così definirà il nazionalsocialismo il prelato – non sono dei migliori anche se non può disconoscere l’impegno delle forze che si battono contro lo stesso nemico di sempre: il comunismo ateo e materialista.
Avvenuto il crollo, Mindszenty cerca di raccogliere di nuovo il suo gregge intorno a sè, di ridare forze e speranza ai suoi sacerdoti affinché non si lascino mettere il bavaglio dai “rossi” che ormai avanzano su tutti i fronti, incontrastati.
È lo scontro – che non è solamente tra due movimenti, ma tra due concezioni della vita, tra due sistemi, tra due mondi addirittura – avviene in occasione della sua nomina nel 1946, da parte di Papa Pio XII, a cardinale primate d’Ungheria. La scelta, naturalmente, non poteva essere migliore in quel tempo.
La prima battaglia a cui partecipa il cardinale è quella che vede impegnati i partiti politici sulla riforma agraria che Mindszenty avversa con tutto il suo clero, girando e predicando di persona, inviando direttive e pastorali ai suoi fedeli, appoggiando tutti quei partiti, movimenti e gruppi che si dichiarano apertamente anticomunisti. E la battaglia è vinta, uscendo sconfitti dalla competizione non solamente i comunisti ma anche i socialdemocratici.
Non si ha nemmeno, però, il tempo di rallegrarsi che subito dopo, nel 1947, alle elezioni, i comunisti raggiungono la maggioranza relativa. E per l’Ungheria è la fine! Attraverso, infatti, la conquista del potere dal di dentro, il Partito Comunista elimina ad una ad una tutte le libertà, a partire da quella di riunirsi in partiti e associazioni. Iniziano così le elezioni a lista unica e bloccata, passano tutte le leggi volute e proposte dal partito comunista: da quella agraria che il popolo aveva respinto a larga maggioranza, a quella che scioglie le organizzazioni religiose, a quella che nazionalizza le scuole cattoliche.
Ormai il Principe cattolico non ha più alcuno strumento di propaganda nelle mani, al di fuori delle riunioni che egli stesso tiene ai suoi fedeli nelle parrocchie di tutto il “suo” Paese, ma anche queste vengono, il più delle volte, sciolte o disturbate dalla polizia.
Eppure egli non si arrende, instancabile, pur essendo consapevole, come ebbe a dire al cardinale Spellman, il quale gli chiese se temesse un arresto a breve scadenza, di esserlo già in pratica; pur sapendo che i tentativi di attentati alla sua vita si susseguivano e si moltiplicavano ad opera e per ordine di Rákosi, capo del comunismo magiaro, che per eliminarlo non seppe far di meglio che un processo, i cui capi d’accusa, ridicolmente e paradossalmente, erano: spionaggio, complotto contro lo Stato, alto tradimento e traffico di valuta. Nel 1948 viene arrestato e gettato in carcere dove rimase per otto anni durante i quali venne picchiato, drogato, privato del sonno, costretto ad ascoltare oscenità per strappargli una confessione. L’anno successivo venne condannato all’ergastolo dopo un processo farsa. Massacrato nel corpo e fiaccato nello spirito il cardinale firmò anche una confessione di colpevolezza, ma sotto al suo nome scrisse due lettere, “C.F.”, coactus feci, “firmai perché costretto”. Si dice che Padre Pio lo abbia visitato in bilocazione nella cella a Budapest per celebrare messa e fornirgli conforto. “Il divaolo è brutto, ma lo avevano ridotto più brutto del diavolo!”, avrebbe poi detto ad Angelo Battisti che lo interrogava se avesse incontrato Mindszenty durante la prigionia.
Bisogna attendere il 1956, anno della sfortunata ma generosa insurrezione ungherese, per vedere in libertà il Cardinale, che con lo stesso entusiasmo e lo stesso ardore di prima è tra i suoi concittadini per dare speranza, per incitare alla resistenza, per confortare, per benedire e dare l’assoluzione ai coraggiosi che cadono sotto i colpi dei carri armati.
Poi il silenzio.
Tutti ricordano come si concluse l’eroica rivoluzione di quel popolo che aveva sperato, invano ed ingenuamente, nell’aiuto dell’Europa e degli Stati Uniti d’America. Ingenuamente, perchè aveva dimenticato che vi era stata una Yalta che per sempre aveva diviso il mondo in due zone d’influenza e che purtroppo l’Ungheria era capitata in quella sovietica.
Mindszenty si rifugia nell’ambasciata americana di Budapest e là vive per anni fino al 1971. Dimenticato, scomodo personaggio che infastidisce e crea solamente problemi alla nuova politica di distensione, al dialogo alle aperture conciliari, fino a quando accetta di partire per l’esilio in Austria solo per obbedire ad un ordine che arriva dal Vaticano. “Accetto la mia partenza – disse – come la croce più pesante della mia vita”. Da allora a Vienna fu obbligato al silenzio dal segretario di Stato, Agostino Cesaroli, che aveva ceduto ai comunisti ungheresi.
Morì a Vienna il 6 maggio del 1975 per un arresto cardiaco.