Nell’ambito dei vertici per la pace in Ucraina, quello svolto a Riad (Arabia Saudita) in realtà ha avuto ad oggetto le politiche sul petrolio. O meglio ha avuto largo spazio rispetto alle tematiche ucraine.
In pochi si sono soffermati su questo punto, ma a mio avviso è tra quelli più rilevanti che hanno spinto Trump a riaprire il dialogo con Mosca. Questo a prescindere dalla pace in Ucraina. Non a caso in quel vertice partecipavano l’Arabia Saudita , la Russia e gli USA.
Abbiamo visto nei giorni scorsi un calo del prezzo del petrolio che però, al di là delle dichiarazioni sul costo della benzina fatte da Trump, non è nei suoi interessi.
West Texas Intermediate
Il greggio statunitense è comunemente noto come West Texas Intermediate (WTI) ed è uno dei principali benchmark petroliferi a livello mondiale, insieme al Brent Crude. A questi due va aggiunto l’Ural russo. Ovviamente non è possibile in questa sede un’analisi completa, ma un discrimine fondamentale va evidenziato: circa il 70% del petrolio estratto negli USA è ottenuto attraverso la tecnica del Fracking. Esiste una competizione a livello internazionale tra produttori tradizionali e quelli del Fracking, dove i primi cercano di mettere in difficoltà i secondi manipolando il prezzo del petrolio e questo perché il Fracking ha costi di estrazione maggiori.
Le potenze petrolifere
Il punto è che che per avere un margine (dati FED) il prezzo del WTI deve oscillare tra i 61 e 69 USD a barile. Un calo eccessivo della domanda comprometterebbe l’attività di estrazione tanto da non renderla economicamente vantaggiosa e sappiamo che Trump è il campione degli idrocarburi. Questo punto va tenuto presente anche con riguardo al rischio di infiammare il Medio Oriente (ma in questo caso dipenderà dalla reazione degli Stati del Golfo) e alla politica dei dazi (per il rischio di una eccessiva contrazione dell’ economia globale), entrambi i quali potrebbero portare ad un calo della domanda , anche se come abbiamo visto, per ragioni diverse. Ed è anche il motivo per cui la Russia non può non essere coinvolta nella politica petrolifera mondiale essendo una dei maggiori produttori al mondo.
Stabilizzare le oscillazioni
Nelle ultime settimane ha subito forti oscillazioni. Al 25 di aprile il WTI era quotato poco sopra i 63 dollari e al 1 maggio 58,18 USD. Insomma anche se il paradigma trumpiano non cambierà, il Tycoon dovrà amministrare saggiamente gli interessi degli USA nel settore cercando la cooperazione per gestire l’offerta e facendo in modo di sostenere la domanda in modo che renda conveniente il Fracking, il che vuol dire fare in modo che non scenda sotto i 61 dollari. In sostanza Trump potrebbe puntare a un nuovo patto energetico trilaterale per stabilizzare i prezzi, simile all’accordo OPEC+ del 2020, il che spiegherebbe la sua apertura verso Mosca più di quanto non faccia la questione Ucraina.