domenica, 17 Novembre, 2024
Editoriale

Okay, il prezzo è giusto?

Il futuro di Amazon è inciso nel suo stesso nome, il fiume più voluminoso al mondo i cui affluenti sgorgano in tutte le direzioni. La suggestione lanciata da Franklin Foer, del noto mensile americano The Atlantic, richiama le parole di un veterano della Silicon Valley secondo cui il master plan di Jeff Bezos sarebbe quello di fornire una piattaforma “logistica per tutti e per tutto”. 

Finora c’è riuscito giocando all’attacco con i suoi economisti, focalizzati a trovare ogni buco di mercato in cui infilarsi per potersi espandere facendo leva su una enorme mole di dati: i nostri, che su Amazon compriamo ogni giorno e quelli delle aziende che su Amazon hanno invece trovato una vetrina per i propri affari, nei limiti delle regole imposte dalla piattaforma. 

Questo vagabondaggio che Bezos ha definito “un contrappeso essenziale all’efficienza”, è testimonianza di uno dei tratti chiavi dell’azienda: non smettere mai di imparare. Nella sua dettagliatissima analisi, Foer ci ricorda come tra le cose che Amazon ha imparato meglio c’è l’arte dell’evasione sfruttando asimmetrie fiscali in giro per il mondo in un viaggio virtuale organizzato dai suoi bravissimi contabili. Così, per esempio, lo scorso anno Amazon è riuscita a non pagare un centesimo dell’imposta federale. A sua volta il governo ha premiato siffatto talento con contratti che renderanno l’azienda ancora più grande, aggiunge il giornalista americano. 

Nel frattempo, il New York Times ha riportato come Bezos faccia parte, insieme al presidente Trump, di un gruppo di 400 persone che per la prima volta nella storia ha pagato meno tasse di tutti, anche meno di quelli che lavorano al minimo salariale per intenderci, magari proprio per Amazon. 

Ergo, è arrivato il momento di cominciare ad allenare un minimo di spirito critico. È cioè arrivato il momento di capire che non esistono pasti gratis. Qualche anno fa, il premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz, in un fortunato libro intitolato Il prezzo della disuguaglianza (Einaudi) argomentava che uno dei motori del divario che separa sempre di più i ricchi dai poveri è dato dalla ricerca delle rendite che fungono da vero e proprio distorsore del sistema economico. 

Il bluff, come sollecitato da una brillante economista del calibro di Mariana Mazzucato, sta nel fatto che proprio coloro i quali sono stati indicati nel capitalismo globale come i creatori di valore sono invece quelli che andavano alla ricerca delle rendite. E le rendite non allargano la torta. Perciò non desta meraviglia se si cerchi di blindarle.

Un esempio? Prendiamo Amazon Prime, riporta Foer, una vera e propria gallina dalle uova d’oro.  Il motivo è presto detto: se fare business significa realizzare una vendita dopo l’altra, nel momento in cui come azienda ho tanti abbonamenti che si autorinnovano e di cui peraltro il consumatore non riesca effettivamente a valutarne i costi e i benefici, ho automaticamente miliardi in cassa.  Un capolavoro.

Se poi tutto questo e tanto altro viene di fatto blindato con una chirurgica operazione di presidio reputazional-politico, che passa per esempio per l’acquisto del Washington Post nonché della nuova residenza di Washington, per il crescente impiego di uomini che sussurrano ai potenti per una spesa in attività di lobbying cresciuta di quasi il 500 per cento dal 2012, potrebbe sorgere spontanea una domanda. In un mondo che ancora non ha trovato la chiave per uscire dalla crisi mondiale del 2008, Bezos ha vinto: ma siamo d’accordo?

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