giovedì, 25 Aprile, 2024
Il Cittadino

Informazione e processi

Nella settimana che sta per chiudersi si è acceso un vivo dibattito su una trasmissione televisiva, “Presa Diretta” di Riccardo Iacona, trasmessa lunedì in prima serata da Raitre.

L’argomento della trasmissione era delicato, riguardando l’indagine della denominata “Rinascita Scott”, che ha coinvolto poco meno di 500 persone, dalla quale è scaturito, tra l’altro, il maxi processo che si sta celebrando nell’aula bunker di Lamezia Terme.

Indagine che da subito ha dato luogo a polemiche e contestazioni al Procuratore Nicola Gratteri per il gran numero di scarcerazioni disposte dal Tribunale della Libertà e dalla Cassazione. Informazione che “Presa Diretta” non ha ritenuto di dare e che – per quanto se anche fosse esatto quanto sostenuto dal Procuratore Gratteri in alcune delle interviste rilasciate sull’inchiesta che «la scarcerazione non significa automaticamente riconoscere l’estraneità dell’indagato rispetto alle ipotesi di reato contestato… ma una diversa valutazione in merito alle esigenze cautelari» (da “Il fatto”, 28 settembre 2020) – avrebbe potuto fare sorgere nel telespettatore qualche interrogativo.

Subito dopo la trasmissione sono insorti, denunciando una gogna mediatica, una sentenza sommaria di condanna, numerosi commentatori.

Lascio alla curiosità di individuale di ricercare su internet i vari interventi pro e contro.

Qui – stimolato da due separati dialoghi privati avuti con due amici (il giornalista Gianfranco Manfredi e il penalista Cesare Placanica) – vorrei semplicemente svolgere una riflessione indotta dal riscontro dato dallo stesso Iacona (giornalista che ho molto apprezzato con “Tesoro Italia”, 12 gennaio 2015) ad una forte critica di Gian Domenico Caiazza, Presidente dell’Unione Camere Penali: «Facciamo trasmissioni e parliamo di indagini come fossero già l’accertamento della verità… si confonde il pm con il giudice e l’arresto preventivo con la sentenza definitiva di condanna. Nella trasmissione… è stato usato a piacimento il materiale investigativo, i filmati, le intercettazioni, senza contraddittorio, in relazione a un processo che non è ancora nemmeno cominciato e a un’indagine nella quale sono state già annullate 140 delle 300 misure cautelari irrogate».

Questa la immediata replica di Iacona (da “Il dubbio”, 18 marzo 2021) «Caiazza vuole impedire ai giornalisti di raccontare le inchieste se non raggiungono il terzo grado di giudizio? Dove finiamo? Ma di cosa stiamo parlando? Con questo criterio, non si potrebbe raccontare la grande criminalità organizzata nel nostro Paese».

Risposta che ripete lo stesso vizio, a mio avviso, attribuibile alla trasmissione.

Il punto su cui dissento, e che spero di rendere chiaro in queste righe, è che la puntata di Presa Diretta si presentava al telespettatore medio come una cronaca neutra ed oggettiva, mentre tale non era, trasparendo chiaramente il “favor” del suo autore verso la tesi accusatoria. Con la sensazione indotta di una ineluttabilità della condanna.

Insomma è stata proposta una requisitoria mascherata da cronaca obiettiva. Sennonché la requisitoria si sa a priori che proviene dall’accusa e illustra gli argomenti della stessa, così come l’arringa del difensore le ragioni dell’imputato: atti di parte, con limiti evidenti e riconoscibili, dichiaratamente non oggettivi. 

Così la risposta di Iacona afferma la libertà di stampa, su cui tutti concordiamo: ma lo fa a sproposito, perché la stessa non è mai stata messa in dubbio da alcuno.

Le critiche, in realtà, erano incentrate proprio sulla neutralità dichiarata negli intenti e supposta per la collocazione della trasmissione nell’emittente pubblica, mai sulla libertà di informazione: che, riguardo a un processo o ad una indagine, può anche prendere posizione colpevolista o innocentista, ma deve farlo in maniera esplicita e sempre nel rispetto della persona. 

Lunedì sera tale chiarezza è mancata: cronaca, montaggio, immagini, erano finalizzate solo ad esprimere, senza dichiararlo, che non bisognava avere alcun dubbio sulla tesi accusatoria,  essendo evidente la colpevolezza degli imputati.

Termino questa rubrica con considerazioni non mie.

Ha notato venerdì il nostro Federico Tedeschini (intervistato da Antonello Sette): «Sul processo in corso non mi pronuncio. È, però, inquietante che altri non abbiano ritenuto di osservare altrettanto silenzio… Si sbattono i mostri in prima pagina. Poi si scopre che mostri non erano, ma è troppo tardi».

Ancora di più colpisce – su Questione Giustizia (la rivista di Magistratura Democratica) – il commento (datato 18 marzo) del giudice Emilio Sirianni: «Infine, noi…  abbiamo fermo in mente l’insegnamento… che ci ricorda come il soggetto da tutelare nel processo penale sia sempre l’imputato, a difesa dei cui fondamentali diritti sono predisposte tutte le regole e garanzie che ne scandiscono l’incedere. La prima delle quali è quella che stabilisce che la prova si forma nel processo. Non nelle indagini ed ancor meno nella rappresentazione mediatica delle stesse».

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