venerdì, 26 Aprile, 2024
Manica Larga

Prima persona, plurale

Indossava una camicia hawaiana. Paffuto, seduto a un tavolo anch’esso rotondo, portava gli occhiali in punta di naso. Pioggia a dirotto, fuori un freddo cane. Le luci a led alle 9 del mattino spalancavano il dipartimento, neanche a notte fonda. Tutto intorno, in un’aula scomoda di un’università all’estrema periferia accademica, una decina di tavoli e studenti intenti a scrivere qualcosa. Inclina il capo e fa cenno di avvicinarmi. Poi, adagia sul tavolo uno dei due ferri con cui stava lavorando a maglia e mi dà il benvenuto: “Teaching? It’s like parenting.” Poi riprende. First reaction? Shock.

Per certi versi, penso che quel professore abbia ragione. Ma penso anche che ci sia molto di più. Mi capita spesso di parlare con i miei studenti di innovazioni, di quelle che hanno cambiato il mondo, di quelle che potrebbero farlo e come. Sono molti ad argomentare che la didattica in presenza ormai faccia parte del discorso. Anche se, in fondo, nessuno di loro ci crede. Nessuno di loro lo vuole. Il messaggio è ridateci la nostra fetta di aula. Chissà come andrà a finire.

Di certo ci sarà un prima e un dopo, in questa storia del Covid. Basti pensare a come sono nel frattempo cambiate molte abitudini che davamo per certe. Lo confermano molti analisti, prendi per esempio McKinsey. Tuttavia, è bene tenere a mente di cosa si tratta.

Se ne parlava anche in un recente incontro con Jaime Saavedra, direttore della Banca Mondiale per l’Educazione. Per quanti sforzi si possano fare, per quanti media si possano utilizzare, per quanto le due parti provino a dialogare, ci sono cose che non funzionano a distanza.

Semplicemente, si tratta di un medium caldissimo. L’educazione vuole contatto. Il professore è un riferimento che trascende spesso le ore d’aula. Alcune volte i nostri professori sono diventati parte integrante delle nostre vite, compagni di viaggio, amici, spalle, confidenti, ispirazione, una presenza essenziale nel nostro incessante tentativo di diventare adulti, fosse anche solo per il ricordo che ne conserviamo.

Ma questa è solo una parte della storia, perché lascia fuori quanto di esistenziale resta nei nostri zaini, di migliaia di ore trascorse insieme, di amicizie che dureranno per sempre, mal che vada nei ricordi, e che diventano parte integrante del nostro corredo genetico. Perché in fondo quei giorni passano e poi restano.

Il fatto è che andare a scuola trascende il gesto tecnico della trasmissione della conoscenza. Semmai la costruisce, e nel farlo mette insieme memorie, quelle che a un certo punto, magari un giovedì pomeriggio qualsiasi, ti ricordano chi sei, chi avresti voluto essere, ti orientano sulla strada davanti.  Insomma, si tratta una questione essenziale.

Oggi è la Giornata Internazionale dell’Educazione. Un’idea delle Nazioni Unite che spegne la terza candelina con l’obiettivo ricordarci il ruolo centrale dell’educazione nello sviluppo dell’uomo e del mondo che verrà.  Valeva la pena ricordare.

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