La Chiesa Cattolica è costantemente stata finanziatrice di scultori, pittori, letterati, indirizzati alla rappresentazione della bellezza, dell’assoluto e del divino. Innumerevoli sono gli esempi di artisti che hanno sviluppato i loro talenti nella descrizione dell’infinito sotto ogni profilo artistico, a favore dell’idea religiosa e alla ricerca intuitiva della perfezione ideale, frutto dell’intuizione e dell’intelligenza. All’uscita dal medioevo (storicamente indicata con la data del 1492) i temi che la Chiesa trattava (in epoca di umanesimo, rinascimento, riforma e controriforma), erano comuni e si traducevano in un mecenatismo che da un lato era intento a difendere e divulgare attraverso l’arte i principi alla base del credo religioso, dall’altra poneva al centro la figura dell’uomo, “misura di tutte le cose”, al confronto con il misterioso sovrannaturale.
La vita e il progetto del Creato
È proprio dalla percezione di assoluto e di perfetto, dalla scoperta di leggi che regolano la vita degli esseri viventi e dell’universo, che si è svolta una costante ricerca che ha sviluppato le discipline del sapere umano, l’essenza che spinge a dare una spiegazione alla nostra vita e, in questo modo, ci assimila a chi ha progettato il creato.
È quanto Michelangelo Buonarroti nella Cappella Sistina esprime attraverso l’immagine dell’accostamento delle dita delle figure rappresentanti Dio ed il primo uomo. Gli indici delle mani non si toccano, a significare che l’uomo non potrà che intuire, non possedere concretamente, il divino.
Immagine straordinaria, la vicinanza delle dita lascia presupporre l’esistenza di un fluido invisibile che si trasmette: è il soffio impalpabile, il mistero della vita, l’incipit, lasciato all’immaginazione di chi vede.
Caravaggio, la chiamata alla conversione
Lo stesso indice divino troviamo nella “Vocazione di San Matteo” del Caravaggio, esposta nella cappella Contarelli della Chiesa di San Luigi dei francesi a Roma, c’è l’immagine di Gesù che indica Matteo, confuso, sbigottito, e lo “chiama” alla conversione.
Caravaggio (1571-1610) ripercorre in chiave pittorica i temi sviluppati dal Buonarroti (1475-1574), suo immediato precursore e predecessore, ma ribalta la prospettiva.
Caravaggio parla un linguaggio vero ed abbordabile da tutti, colpendo la sensibilità delle persone in carne ed ossa, umili, normali, prese dalla strada, che combattono per la sopravvivenza.
In Caravaggio la luce squarcia ed illumina nel fondo scuro, ruba spazio alle tenebre per vincere e predomina infine, concentrando l’attenzione sull’essenzialità del racconto.
In Michelangelo la luce è costante su tutta la scena in maniera cattedratica ed uniforme: descrive e cesella l’assoluto.
Caravaggio esprime l’inquietudine della ricerca dell’uomo della strada con le sue approssimazioni e attraverso la crudezza della vita di tutti i giorni.
Dunque Caravaggio fa accedere alla portata di ogni uomo l’assoluto, il divino, facendo parlare, vestire e vivere i protagonisti biblici come persone del suo tempo.
Grandezza e anticoncenzionalità
Questa chiave di lettura da un lato spiega l’originalità del Caravaggio, che in realtà ripercorre in chiave diversa molti temi già trattati dal Buonarroti, dall’altra la grandezza, lungimiranza e l’anticonvenzionalità
di una certa classe dirigente della Chiesa che, proteggendolo e finanziandolo (per quanto possibile data l’irrequietezza dell’uomo) hanno offerto un approccio diverso e più umano al tema della religiosità e regalato all’umanità rappresentazioni di straordinario valore.
L’uno non esiste senza l’altro
In sintesi che il soffio che dà origine alla vita sia interpretato come amore di Dantesca concezione o semplice istinto di sopravvivenza, come Caravaggio ci racconta, si può concludere che l’uno non esiste senza l’altro, sublimandosi ed agendo in modo complementare per il bene dell’individuo e dell’umanità.
Viene in mente di dire che la coniugazione di questi due istinti siano il codice genetico del destino dell’uomo in quanto compromesso fra nulla e tutto.