sabato, 23 Novembre, 2024
Attualità

Fu anche la Bergamo di Feltri a rendere il Sud “inferiore”

Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, nel corso di un’accorata intervista concessa a Corrado Formigli, ha ricordato, con le lacrime agli occhi, i giorni più disperati della tragedia che ha colpito la sua città.

Solo flashback, lampi di ricordi che segneranno a vita lui e i suoi concittadini. Ha riferito della scena di quando ha accompagnato il prete a benedire nella sala mortuaria 118 urne tornate dalla cremazione.

Uno spettacolo da brividi. Il sacerdote che procedeva all’infusione dell’incenso, mentre accanto, sistemate per terra, un altro centinaio di bare attendevano i camion dell’esercito per essere trasportate all’inceneritore. E di lì a qualche ora Gori si ritrovò con i morti che erano in numero superiore a quello delle bare disponibili e non sapeva che fare. Oggi qualcosa è cambiato. Contagiati, morti e ricoverati sono in diminuzione, ma Bergamo resta tristemente “capitale” del coronavirus.

La città, la splendida Bergamo vecchia, un autentico gioiello, e tutti i suoi cittadini meritano la nostra umana e totale solidarietà per questa spaventosa catastrofe che hanno vissuto e continuano a vivere.

Ma Bergamo, per noi meridionali, in parte risparmiati dall’epidemia e che oggi ci caliamo nel suo dolore, ha rappresentato, in questi giorni un groppo amaro. Un insulto che si è materializzato attraverso le “intemperanze” chiamiamole così, razziste di Vittorio Feltri, il più celebre dei bergamaschi viventi, contro i napoletani e i meridionali in generale. Ma non si tratta di una novità storica assoluta.

Questa Bergamo per noi del Sud continua a rivelarsi fatale. E non per il futile motivo che negli ultimi campionati di calcio, più o meno costantemente, l’Atalanta ce le ha suonate di santa ragione. Ma per una ragione storica molto più significativa della quale, proprio nella città di Feltri, sopravvive una traccia inconfutabile.

Sul gonfalone del Comune, infatti spicca un motto che la dice tutta su Bergamo: «Città dei Mille».

E fu scritto di pugno suo nientedimeno che da Giuseppe Garibaldi,  l’epico “eroe dei due mondi” che è storicamente il vero responsabile della “minorità” meridionale, per dirla alla Feltri, anche se il burbanzoso giornalista orobico in queste ore ha tentato goffamente di “indorare la pillola” sostenendo che le accuse di inferiorità erano solo riferite ai livelli medi del reddito, fra settentrionali e meridionali.

Un pietoso tentativo di marcia indietro, viste le reazioni e la quasi certa apertura di un procedimento disciplinare presso il consiglio di disciplina dell’Ordine della Lombardia..

In effetti Bergamo fu il vero centro-pilota dal quale partì la spedizione all’origine di tutti i mali del Mezzogiorno. Non vi è dubbio alcuno, lo testimonia uno dei bracci destri del filibustiere nizzardo, Cesare Abba nelle sue memorie garibaldine «Da Quarto a Volturno».

Perché “Città dei Mille”? Innanzitutto per il numero dei volontari che inizialmente presero parte all’avventura iniziata nella notte fra il 4 e il 5 maggio del 1860. Se ne contarono ben 179, il nucleo più consistente e compatto. Questa risposta entusiasta all’appello di Garibaldi nasce da un antefatto, risalente all’8 giugno del 1859, un anno prima della spedizione. Garibaldi, pressato da alcuni amici che aveva lì, si recò a Bergamo, entrandovi da Porta di San Lorenzo (che oggi viene appunto comunemente identificata come “Porta Garibaldi”) e in città invitò i giovani a seguirlo come volontari nella spedizione che stava programmando per invadere la Sicilia.

E a Bergamo, per la precisione nel vicino comune di Gandino, nascono le Camicie Rosse dei garibaldini, tinte appunto presso la Tintoria degli Scarlatti.

Ma il contributo di Bergamo alla spedizione non si limitò agli iniziali 179 uomini che partirono da Quarto al seguito di Garibaldi. Dopo le vittorie di Calatafimi, Palermo e Milazzo, Garibaldi, che nemmeno ci credeva, capì che con il solo nucleo originario e con i “mafiosi” che si erano aggregati non ce l’avrebbe mai fatta. E rispedì così un suo fedelissimo, Francesco Nullo, comandante dell’ottava compagnia dei Mille, nella sua Bergamo perché provvedesse a nuovi arruolamenti. Nullo, contrariamente al suo nome, tornato in fretta e furia a Bergamo si dimostrò invece più che efficace: assieme all’amico Francesco Cucchi, allestì un vero e proprio ufficio d’arruolamento in un teatrino in via Borfuro. Garibaldi chiedeva pochi ma buoni combattenti e fu compiuta pertanto una selezione molto accurata e severa. Risposero all’appello in tanti, anche perché sapevano che partecipare alla spedizione, pur con tutti i rischi che avrebbero corso, era un affare, visto che sarebbero stati lautamente ricompensati.

Dal treno in partenza da Bergamo ne furono fatti scendere un bel numero. Erano ancora troppi, tanto che a Milano altri furono rimandati a casa. Quando partì per la seconda volta da Bergamo alla volta della Sicilia, Nullo aveva con sé 300 garibaldini.

In un suo messaggio telegrafico del 7 luglio Nullo annunciava: «Fissata partenza merce domenica sera da Bergamo». La «merce» arrivò a Genova il lunedì per imbarcarsi nella stessa serata. Altri si aggiunsero ancora in agosto: tra questi il giovanissimo Guido Sylva, che lascerà un prezioso libro di memorie.

In definitiva è stato calcolato che i bergamaschi che combatterono per la conquista del Regno delle due Sicilie risalendo con Garibaldi la penisola furono 500 o anche più; qualcuno azzarda la cifra di 900, ma dati ufficiali complessivi non ne esistono.

Garibaldi, del resto, aveva avuto già da molto prima del 1860 un rapporto particolare con Bergamo.
Era entrato in contatto con i bergamaschi in occasione dei moti del ’48. Il 29 luglio di quell’anno (Carlo Alberto era già stato sconfitto a Custoza) al comando di 3.700 uomini il generale si diresse su Bergamo per la difesa contro gli austriaci. In questa occasione, alloggiando nel loro palazzo, conobbe i Camozzi, in particolare i fratelli Gabriele e G. Battista, protagonisti del Risorgimento bergamasco.

A Bergamo giungeranno poi Carlo Cattaneo e Giuseppe Mazzini. Ed è diretto ai bergamaschi uno dei proclami di Garibaldi: «Bergamo sarà la Pontida della generazione presente e Dio vi condurrà a Legnano». Ma l’armistizio firmato da Carlo Alberto bloccò i sogni di gloria del nizzardo.

Grazie all’aiuto dei bergamaschi, quindi, Garibaldi riuscì a conquistare Napoli e a regalare il vecchio Regno a Vittorio Emanuele. Il resto lo sapete tutti. Con l’impoverimento del Sud rapinato dai piemontesi, nacquero il “triangolo industriale” e il miracolo economico del Nord. E la oscura Milano, cittadina periferica dell’impero austro-ungarico, decollò fino a diventare la splendida metropoli europea che è oggi. I meridionali immiseriti furono costretti ad emigrare verso paesi lontani e sconosciuti. Furono anche i bergamaschi a renderci “inferiori” economicamente. E ce ne costò lacrime l’America.

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