Solamente il 2% delle nostre imprese con almeno 10 dipendenti dichiara di aver investito tra il 2019 e il 2021 nell’intelligenza artificiale. Questa percentuale sale al 10% considerando l’investimento in AI a quello effettuato nella tecnologia che costituisce il presupposto della sua adozione, ovvero i Big Data. È quanto emerso durante i lavori del workshop “Transizione ecologica e digitale, politiche per il lavoro e imprese” organizzato dall’INAPP (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) in cui sono stati presentati i nuovi dati della VI Rilevazione Imprese e Lavoro (RIL), condotta nel 2022 su un campione rappresentativo di circa 30mila aziende italiane.
L’indagine di RIL
I risultati dell’indagine di RIL, il progetto di ricerca sviluppato dalla Struttura Imprese e lavoro coordinata da Andrea Ricci, suggeriscono che la diffusione dell’Intelligenza Artificiale, con tutto quello che ne consegue, non solo è agli inizi ma riflette anche una forte complementarità con le altre tecnologie digitali e quindi una sostanziale eterogeneità del nostro sistema imprenditoriale, confermando l’urgenza di governare questo cambiamento per evitare che acceleri ancora di più le disuguaglianze produttive e competitive che si registrano nel nostro tessuto produttivo.
Poco utilizzo
“Mentre nel nostro Paese sull’intelligenza artificiale siamo ancora alla discussione tra ‘apocalittici e integrati’ i principali competitor investono convintamente in quest’area che è destinata a migliorare i processi produttivi e l’organizzazione del lavoro. Ad oggi il primo divario che caratterizza le PMI è senza dubbio la mancanza di cultura e di competenze in materia: sanno che l’Intelligenza Artificiale esiste ma ancora non sanno come utilizzarla per migliorare le proprie performance. Per molte si tratta di partire proprio dalle basi, ovvero dalla trasformazione digitale e dalla utilizzazione dei “big data”. La concatenazione con gli investimenti in formazione e nelle tecnologie contigue necessarie per lo sviluppo e l’applicazione dell’IA neutralizza i timori per la distruzione di posti di lavoro che potrebbe conseguirne”, ha affermato Sebastiano Fadda, presidente dell’INAPP.
Big Data e Robotica
È proprio questa la seconda evidenza messa in luce dall’indagine RIL. Le analisi mostrano che l’investimento in AI di per sé non produce alcun effetto significativo sulla domanda di lavoro mentre quando è effettuato in aggiunta agli investimenti in Big Data e Robotica, è correlato ad un leggero incremento (+0.7%) della quota di posto di lavoro richiesti. L’AI è associata infatti ad un forte aumento delle spese in formazione professionale finanziate dalle imprese, anche se viene esaminata l’AI in assenza delle altre tecnologie (+13%). Ciò supporta l’ipotesi che , almeno per adesso, la trasformazione dell’AI sta procedendo più all’interno delle aziende (dei loro processi di riorganizzazione) che nel “mercato”.