Il Fondo sovrano per il Made in Italy, varato dal Consiglio dei ministri alla fine della scorsa settimana, risulta per diversi aspetti ridimensionato rispetto alle intenzioni espresse a più riprese nelle settimane precedenti, oltre che da parte di diversi esponenti del Governo e della maggioranza, da Adolfo Urso, ministro del Mimit, vero fautore del provvedimento. Ciò in particolare perché include più ambiti, forse troppi, più o meno importanti: dalle norme anticontraffazione alle iniziative di autoimprenditorialità all’imprenditorialità femminile, dal Liceo alla Giornata nazionale (15 aprile) all’Esposizione della storia del Made in Italy. Il che ha distolto l’attenzione dal tema fondamentale: come sostenere le nostre imprese ad alto potenziale e quelle ad alto valore strategico.
Il disegno di legge, che nasce anche per favorire l’approvvigionamento di materie prime critiche, si sofferma in particolare sulle filiere del legno-arredo, del tessile, della nautica, della ceramica e dei prodotti orafi. Si tratta indubbiamente di comparti strategici e importanti per il Paese, anche se è stato fatto notare che altri, ugualmente fondamentali, sono esclusi dalla norma. Qualche osservatore ha paventato il rischio che questo strumento sarà un modo per salvare le aziende decotte, altri nientemeno che si tratta di un ritorno mascherato dell’Iri o di una sorta di ministero delle Partecipazioni statali da Prima Repubblica.
Personalmente sono da tempo fautore – anche da queste colonne – di un Fondo sovrano nazionale. Già nel 2020, per superare la crisi economica effetto della pandemia, proponemmo un mega fondo d’investimento pubblico-privato con protezione prioritaria degli investitori privati (istituzionali, professionali), che prevedesse un trattamento fiscale agevolato e una liquidation preference in caso di disinvestimento verso gli investitori privati. Circa la dotazione di quello promosso dal Governo Meloni, un miliardo di euro sembrano francamente pochi nel contesto macroeconomico attuale. Credo che bisognerebbe giungere un equipaggiamento di almeno 4/5 miliardi, per arrivare, tramite la moltiplicazione con quelli privati a 9/10.
Altrettanto importante la sfera programmatica. Vedo quattro punti: 1 – definire i motivi di forza e di debolezza dei nostri settori produttivi, analizzando e intervenendo per favorire la crescita di quelli che rappresentano le aziende locomotive per rilancio del Paese, ma anche facilitando le ristrutturazioni ed eventualmente le riconversioni produttive che possano garantire la vita nel tempo delle imprese.; 2 – collegare la liquidità immessa a una semplificazione burocratica e all’introduzione di nuovi strumenti finanziari fiscalmente attrattivi, per attuare quel circolo virtuoso di grandi investimenti sia pubblici sia privati; 3 – puntare sull’ innovazione e la tecnologia; 4 – investire nella formazione, nelle competenze e nei talenti – e in questo senso sarebbe auspicabile anche un coinvolgimento delle Università. Questa iniziativa dovrà anche essere un volano per ridurre il divario tra il Nord e il Sud dell’Italia.