lunedì, 21 Ottobre, 2024
Esteri

Putin tenta l’embargo delle coscienze in Russia

Premio Nobel per la Pace denuncia la "folle e criminale guerra" contro l'Ucraina

Il tribunale municipale di Mosca ha dichiarato colpevole l’oppositore Ilya Yashin per aver gettato “discredito” sull’esercito russo in relazione agli omicidi di massa commessi a Bucha. Yashin è stato condannato a otto anni e mezzo di reclusione. Per lui il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a nove anni. Il “crimine” per il quale è stato condannato sarebbe stato commesso il 7 aprile, quando – durante una trasmissione in diretta su YouTube – aveva citato le prove secondo cui i residenti di Bucha erano stati uccisi dall’esercito russo. Yashin sostiene che il suo procedimento penale è motivato politicamente. Del resto, è uno dei più noti oppositori russi che non ha lasciato il Paese.

Il fatto che in Russia, con grande rapidità, sia stato modificato il Codice penale, introducendo gli articoli liberticidi che hanno consentito questa ed altre condanne, conferma che il regime di Putin – attraverso questa riforma – ha voluto creare le condizioni per poter mandare praticamente qualsiasi oppositore nelle colonie penali.

Il terzo decennio di Vladimir Putin rappresenta un periodo di puro terrore per gli oppositori russi. Lo confermano i casi di Navalny, di Yashin e di Kara-Murza, ed altre migliaia di casi meno noti, ma non per questo meno importanti. Di contro, questi casi sono anche la prova che il regime di Putin teme le manifestazioni di dissenso e malcontento.

Le decisioni prese dai tribunali sono evidentemente lo specchio dell’amministrazione presidenziale. I magistrati che redigono queste sentenze di condanna dovrebbero però tener presente il numero 70, ossia l’età del presidente Putin.

I più giovani tra loro, vivranno oltre la fine di questo regime e potrebbero essere chiamati a rispondere per essersi resi complici di questi misfatti.

Ilya Yashin non ha deliberatamente lasciato la Russia. Ha preferito rimanere per difendere gli ideali di libertà e giustizia di cui si è fatto portavoce in questi anni, ma soprattutto ha deciso di rimanere per non tradire la fiducia di un gran numero di persone che credono ancora possibile un cambiamento in Russia. Questo è un punto molto importante.

Dopo l’annuncio del verdetto, sul suo canale Telegram è stato pubblicato un appello a suo nome. «Il processo è stato concepito come una condanna del “nemico del popolo” nella mia persona, ma si è trasformato in un tribunale contro la guerra. Abbiamo detto la verità sui crimini di guerra e abbiamo chiesto la fine dello spargimento di sangue… Con questa condanna isterica, il governo vuole intimidirci tutti, ma in realtà mostra solo la sua debolezza.

I leader forti sono calmi e sicuri di sé, e solo i deboli si sforzano di chiudere la bocca a tutti, bruciare ogni dissenso. Quindi oggi, tutto quello che devo fare è ripetere quello che ho detto il giorno del mio arresto: io non ho paura, e tu non hai paura», ha detto Yashin.

Non tutto è perso se alle voci del dissenso si unisce anche quella di Yan Rachinsky, presidente dell’ong russa Memorial, che, durante la cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace, ha trovato la forza di denunciare la “folle e criminale guerra” di Putin contro l’Ucraina. Rachinsky ha riferito anche che il Cremlino gli aveva “raccomandato” di non accettare il premio perché gli altri due co-vincitori – un’organizzazione ucraina per i diritti umani e un difensore dei diritti bielorusso incarcerato – erano ritenuti “inappropriati” dalle autorità di Mosca.

Rachinsky ha coraggiosamente detto che: «Nella Russia di oggi, la sicurezza personale di nessuno può essere garantita», aggiungendo: «Sì, molti sono stati uccisi. Ma sappiamo a cosa porta l’impunità dello Stato… Dobbiamo uscire da questa fossa in qualche modo».

A fargli eco, Oleksandra Matviychuk, anche lei a Oslo per ritirare il premio Nobel per la pace, che ha detto: “Se deponessimo le armi sarebbe occupazione, non pace”.

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