sabato, 27 Aprile, 2024
Attualità

“Baraye” contro la dittatura iraniana

per mia sorella, per tua sorella e anche per Asra” gli studenti manifestano ancora contro il regime iraniano cantando “Baraye”.

La mattanza continua, Asra Panahi, 16 anni, studentessa del liceo femminile Shahed ad Ardabil, capoluogo di provincia, nell’Iran nord-occidentale, è stata prestata a morte dalle forze di sicurezza iraniane, che hanno fatto irruzione nel liceo, ormai prassi consolidata, obbligando le ragazze a cantare un inno dedicato all’Ayatollah Ali Khamenei.

Asra non vuole cantare per chi uccide le sue sorelle iraniane, non può cantare un’ode a un assassino e, magari, pensa che dentro una scuola non la uccideranno. Invece Asra viene trucidata, il rifiuto le costa la morte per pestaggio. A raccontare la sua storia è il Consiglio di coordinamento delle associazioni di categoria degli insegnanti iraniani. Anche per Asra gli studenti cantano “Baraye”, che si traduce con “per”, nel testo si intende “a sostegno di”, è il titolo di una canzone del cantante Shervin Hajipour, divenuta simbolo internazionale della protesta contro il regime iraniano. Il cantante, dopo aver pubblicato il video sui suoi canali social ha raggiunto in pochissimo tempo oltre i 40 milioni di visualizzazioni in tutto il mondo, assorgendo a simbolo di quella che è diventata una rivoluzione contro un regime di inaccettabile ferocia. Per questo Shervin è stato arrestato e, in seguito, rilasciato su cauzione.

Poco dopo l’agenzia Tasnim, ha diffuso un video in cui il cantante dichiarava di non avere intenzione e dispiacersi dell’uso politico fatto all’estero della sua canzone, mentre affermava “non cambierei questo paese con nessun altro al mondo e sosterrò la mia patria, la mia bandiera, la mia gente.” Ma sappiamo bene, anche dai rapporti ONU, che le confessioni forzate, attraverso l’uso della tortura, sono pratica sovente in Iran, come il totale arbitrio nell’uccidere durante la detenzione in carcere ed è di ieri la diffusione della notizia dei detenuti uccisi e feriti nella prigione di Evin, messa a ferro e fuoco, in uno scenario apocalittico in cui si è chiesto ancora intervento all’ONU. Per dire no a tutto questo, sabato 15 ottobre centinaia di studenti si sono riuniti in piazza della Repubblica a Roma, dopo aver convocato una nuova manifestazione. Insieme a loro adulti, anziani, famiglie per gridare: troppo il sangue versato in Iran, troppi i limiti sorpassati proprio da un regime che non ha fatto altro che erigere muri e costruire prigioni intorno alla stessa vita delle persone.

Mentre dall’Iran continuano a filtrare i numeri dei morti di questa guerra spietata che il regime fa contro i suoi figli, come una Medea dalle infinite lame, nella capitale, come in altre città del mondo, i ragazzi continuano a scendere in piazza, con la fierezza di chi ha deciso di non aver più paura. A viso scoperto si offrono al sole e al vento, alla vita che è movimento contro la paralisi della morte. A nulla servono le minacce sottovoce di alcuni infiltrati di regime, che promettono conseguenze “se non smettiamo di infangare la patria”, come ci racconta una manifestante, perché, continua a dirci, stanno uccidendo e arrestando i nostri amici alla Sharif University”. Si tratta della più prestigiosa università di Teheran, dove gli scontri tra polizia e studenti sono finiti ancora una volta nel sangue. Sono almeno 200 ad oggi infatti il numero di morti tra i manifestanti in Iran, tra cui 23 minori.

L’Iran Human Rights ha richiamato più volte l’attenzione della comunità internazionale sulla violazione di tutti i diritti dei minori. Ma questo regime, lo abbiamo ormai compreso bene e nessuno di noi ha più scuse, è capace di vestire le strade col sangue anche dei bambini. Quale gioco, quale strada, quale riparo, potrà mai consolare l’infanzia trucidata? Quale futuro è immaginabile per chi ha dovuto seppellire, non in pace, i suoi figli? Alla manifestazione oltre il gesto simbolico del taglio dei capelli, in cui tutti, uomini e donne, hanno offerto ciocche raccolta su un cartellone di protesta, il gesto più potente, quello decisivo, che suona come il diapason di una irreversibile marcia solenne, è stato quello delle mani unite di uomini e donne: una stretta muta che urla un insieme senza precedenti storici.

È questo insieme che potrà scrivere una storia nuova, è nell’incontro e nella difesa reciproca di queste due nature che può rinascere l’umanità. Come ci racconta una donna italiana unita alla manifestazione “per me essere qui è un’impellenza, sono tutto il tempo con un nodo in gola, perché conosco la situazione di questi ragazzi che hanno una vita violata da questo regime. Quando vado in Iran vedo che la loro priorità, quando si riuniscono, è ballare. Nel mondo occidentale c’è una difficoltà a fare capire cos’è una dittatura. La dittatura è un muro che ti viene messo davanti qualsiasi cosa tu voglia fare, è una prigione posta intorno al tuo corpo. Sono ammirata dal coraggio di questi ragazzi, che hanno trovato in questa battaglia una ragione di vita, dopo che decenni di dittatura hanno criminalmente spento questi giovani. Ecco perché sono pronti a morire, perché finalmente si sentono vivi.” E mentre attendiamo la grande manifestazione internazionale a Berlino “per mia sorella, per tua sorella, per la libertà”, dentro le parole di Baraye potete trovare la vita dei giovani iraniani che ci stanno chiedendo di non lasciarli soli.

“Baraye – Per”

Per poter ballare per strada/Per il terrore nell’attimo di un bacio/Per mia sorella, tua sorella, le nostre sorelle/Per cambiare i cervelli consumati/Per la vergogna della povertà/Per la disperazione di avere una vita normale/Per i bambini costretti a raccattare nella spazzatura e i loro sogni/Per questa politica comandata/Per l’aria inquinata/Per Valiasr e i suoi alberi consumati/Per Pirooz e la possibilità della sua estinzione/Per i cani tanto innocenti quanto vietati/Per le lacrime inarrestabili/Per la ridondante immagine di questo momento/Per i volti sorridenti/Per gli studenti e il loro futuro/Per questo paradiso forzato/Per i geni imprigionati/Per i bambini afghani/Per tutti questi “per” che non sono ripetibili/Per tutti questi slogan che risuonano a vuoto/Per il crollo di edifici finti/Per la sensazione di pace/Per il sole che risorge dopo lunghe notti/Per le pillole contro l’ansia e l’insonnia/Per gli uomini, la patria, la rifondazione/Per la ragazza che avrebbe voluto essere un ragazzo/Per le donne, la vita, la libertà/Per la libertà/Per la libertà.

Shervin Hajipour

 

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