giovedì, 25 Aprile, 2024
Il Cittadino

La nostra democrazia e le proteste di chi la vorrebbe

Mi sto chiedendo moltissimo se in un articolo destinato ad essere pubblicato nel giorno delle elezioni politiche italiane possa occuparmi – e, soprattutto, possa interessare – un tema diverso. Probabilmente no, mi rispondo.

Non posso negare, però, che i fatti della settimana che hanno destato di più il mio interesse sono accaduti non in Italia, ma altrove.

Intendiamoci: non è che le elezioni politiche non occupino la mia mente. Ho seguito con attenzione la bruttissima campagna elettorale (se ne è già parlato in questa rubrica); ho deciso per chi votare; ho addirittura un’idea del risultato della consultazione. Credo che il partito di maggioranza relativa sarà Fratelli d’Italia della Meloni e che il centrodestra vincerà; ma ho qualche dubbio che avrà i numeri necessari per governare da solo. Scartando la possibilità di alleanze col PD e col M5S, probabilmente dovrà necessariamente guardare al duo Calenda-Renzi, che potrebbe anche scindersi per una eventuale coalizione di governo. Coalizione che potrebbe anche imporre un Presidente del Consiglio diverso da Giorgia Meloni, leader del partito che si presume avrà la maggioranza relativa.

Nonostante una serie di allarmi che è bene vi siano (ma che, vi confesso, ho sempre attribuito al fanatismo estremista, più che ad un pericolo reale, da me personalmente non percepito), tutto finora si è svolto nel giusto clima elettorale.

Mi colpisce, però, il contrasto tra il nostro consolidato sistema democratico – che è tale nonostante la fiammella tricolore presente nel simbolo della Meloni, ma non nelle sue manifestazioni elettorali, molto equilibrate e composte – ed una situazione mondiale dove metà della popolazione è privata di quelli che per noi occidentali sono diritti fondamentali ed inalienabili.

Persone che vivono realmente in un sistema dispotico ed assoluto, che reprime col sangue e con leggi che violano il diritto ad ogni dissenso e reprimono nel sangue ogni protesta.

Si tratta di due rivolte contemporaneamente esplose nella scorsa settimana in Stati non propriamente di diritto, in dittature mascherate, come usa oggidì: l’Iran e la Russia di Putin.

Diverse le cause della protesta e le modalità della stessa.

In Iran è scoppiata la rabbia delle donne dopo la morte di una ragazza ventiduenne, Mahsa Amini, della provincia iraniana del Kurdistan, entrata in coma e morta dopo essere stata arrestata a Teheran dalla polizia morale per “abbigliamento inadeguato”, in quanto indossava l’hijab, il velo, in maniera non conforme. Secondo il britannico The Guardian la ragazza sarebbe morta a causa di un colpo al cranio (una Tac della testa avrebbe evidenziato una frattura, un’emorragia e un edema cerebrale).

Le donne iraniane – evidentemente insofferenti di una condizione che ad un occidentale pare (e lo è) fuori dal tempo – stanno coraggiosamente protestando da giorni: subendo decine di arresti e contando fino a giovedì scorso (ultimo dato rinvenuto) cinque ragazze uccise negli scontri in varie città.

Il presidente iraniano Raisi aveva concesso a Christiane Amanpour (giornalista della CNN, di origini Iraniane) un’intervista in cessione di una sua visita a New York. L’intervista non si è svolta perché la giornalista non ha accettato di indossare il velo. La fotografia della giornalista e della poltrona vuota del Presidente vi assicuro che sono forse più eloquenti di qualsiasi discorso.

L’altra protesta è esplosa in Russia, con modalità in parte diverse perché oltre alle manifestazioni in piazza, contrastate dal governo con metodi altrettanto bruschi di quelli iraniani, sta comportando fughe dal Paese per sottrarsi alla coscrizione obbligatoria. La sensazione che personalmente traggo è che la gente non crede più al governo di Putin, non comprende l’invasione dell’Ucraina, non è disposta a combattere per una cosa che non sente sua e per una ragione che non condivide.

Sembra l’avveramento della profezia di uno scienziato dissidente russo che alcuni anni addietro aveva ammonito: «il pericolo reale che corre il Cremlino è la sfiducia collettiva, prima ancora della protesta».

La nostra civiltà ci ha educati alla ricerca del consenso in maniera democratica ed a basare sul consenso qualsiasi nostro potere, sia in ambito pubblico, sia in ambito privato (pensate all’unione di una coppia: superato il dogma dell’indissolubilità del matrimonio essa dura fin quando c’è il consenso). Ringrazio di non essere un suddito di quei regimi e di non avere vissuto la dittatura che ha rovinato l’adolescenza e la gioventù dei miei genitori.

Così nei Paesi democratici; finanche in quelli che, come gli USA, riconnettono all’esecutivo un potere ben più pregnante e forte del nostro. L’alternanza è comunque assicurata dalle regole e l’uomo che fino al momento prima era la persona più potente del mondo, si trasforma in un  tranquillo pensionato.

Ecco è da questa civile e democratica posizione, dalla libertà che mi è stata garantita per tutta la mia vita, che guardo con sicurezza al nostro futuro di italiani, chiunque ci governerà: non mi ha spaventato il governo D’Alema, visto dagli estremisti di destra  come l’incarnazione stessa del diavolo (non lo era); non ci deve spaventare Giorgia Meloni (se vincerà le elezioni), se non per il suo essere donna e per la rivoluzione che ciò, di per sé stesso, comporterà.

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