venerdì, 19 Aprile, 2024
Attualità

Parità di genere e culle vuote

Le culle vuote sono l’evidente realtà demografica a cui si assiste da alcuni decenni; è la fotografia di una Italia che invecchia e che lascia ben poco sperare ad un ricambio generazionale e che possa fornire anche
tutele ed assistenze agli anziani – sempre più numerosi per la migliore qualità della vita – se non si esalta la figura della maternità.

In effetti il fenomeno delle “culle vuote” è proprio legato all’apparente benessere diffuso tra i giovani, mentre le giovani coppie hanno  paura di procreare perché vedono un futuro non rassicurante per
loro stessi, ad incominciare dalla precarietà del lavoro, per finire alle problematiche abitative, per cui è anche diffusa la psicosi tra loro, con le domande del tipo: “…ma quanto mi costa un figlio? …”…come
faccio a conciliare casa e lavoro esterno? “… “e l’asilo nido o la scuola dell’infanzia dove stanno e quanto mi costano? Quale sarà il loro futuro?

Sono domande alle quali la classe politica, nazionale e locale, cerca di dare risposte , affermando di avere a cuore la problematica della decrescita demografica. In realtà non riesce ad affrontare e a risolvere
tutte le relative questioni perché la denatalità è solo in parte di natura sociologica e culturale delle moderne generazioni – apparentemente non disponibili a sacrifici ed a rinunce. Il vero problema è di tipo economico e di agiatezze nel suo insieme quali ad esempio una retribuzione od una entrata economica certa, continuativa e adeguata per una vita decorosa, una dimora confortevole e la possibilità di svaghi culturali nonché una assistenza sanitaria tempestiva, efficace e sensibile nel dare tranquillità e risposte adeguate.

La Costituzione dispone nell’articolo 37, che “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”. Ed, in particolare, afferma, per la donna, che:
“Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.”
È preoccupante sentire, come è stato affermato di recente, in frasi estemporanee, proprio dal mondo femminile con ruoli di vertice che nelle aziende è preferibile assumere la donna non più in età fertile o senza prole ancora da accudire.

Le pari opportunità e le parità di genere  sono conquiste di civiltà, di libertà, di dignità e di eguaglianza, – a cui proprio di recente, si è aggiunta anche l’opportunità, sancita dalla Corte Costituzionale, di
scelta da parte dei genitori sui cognomi della prole. Ma si rileva una non adeguata sensibilità di tutele affinché sia l’uomo e sia la donna possano tranquillamente assumersi la responsabilità di procreare, cioè,
come si suole dire, di mettere su famiglia.

Molto c’è da fare a livello legislativo per garantire e dare ampia applicazione ai principi costituzionali enunciati e, soprattutto per esaltare il ruolo della maternità nel riconoscerlo come il più elevato e
nobile atto d’amore dal quale non avere rimorsi per le difficoltà economiche o per l’inconciliabile ruolo di mamma lavoratrice ed educatrice.

Solamente la donna-mamma è custode dell’interminabile elenco dei sacrifici e delle rinunce sin dal concepimento, nel mettere alla luce una creatura, assisterla minuto per minuto, di giorno e di notte, nei
primi anni di vita e prendersene cura, sacrificando in tutto od in parte le proprie attività lavorative, non sempre conciliabili, nonché le proprie libertà nella vita sociale, con prole in età minorile.

Ne consegue la scelta a priori di rinunciare a procreare per non nuocere alla propria carriera lavorativa, benché viviamo in un’epoca nella quale il lavoro scarseggia sempre più, anche perché a svolgerlo sono,
pariteticamente, sia l’uomo e sia la donna, alla quale non è considerato lavoro quello casalingo e neanche quello dedicato ai figli minorenni, remunerato con un assegno unico onnicomprensivo che non tiene conto
dell’effettivo costo di un figlio in termini di spese vive per le sue esigenze, spesso superiori a quelle pro-capite di un adulto.

Basti pensare che nell’anno in corso vi sarebbero in Italia oltre 3 milioni di giovani tra i 15 ed i 34 anni che non studiano e non hanno lavoro, per cui sono i genitori a fornire loro alloggio, vitto e l’indispensabile “paghetta” per le necessità quotidiane.

Certamente la sempre maggiore presenza femminile nel mondo del lavoro ha fatto ridurre sempre più, fino a dimezzarla, la possibilità all’uomo di lavorare. La parità di genere e le aspettative sulle pari opportunità in
tutte le manifestazioni della vita hanno messo in crisi una serie di altre situazioni tutte destinate a castigare la natalità. Le conseguenze delle culle vuote sulla società sono tante, per cui il legislatore potrà
conoscerle a fondo solamente interpellando e coinvolgendo negli iter legislativi al riguardo le protagoniste principali della maternità, cioè le donne di ogni ceto sociale, le quali possono esternare le loro
preoccupazioni sin dalla gravidanza e le loro esigenze per assistere e far vivere dignitosamente i figli, patrimonio dell’ umanità.

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