giovedì, 25 Aprile, 2024
Energia

Cosa cambia nelle politiche energetiche dei Paesi esportatori di petrolio

Intervista a Norman Roule, esperto di energia e questioni strategiche (2)

Pubblichiamo, per gentile concessione del sito The Cipher Brief, la seconda parte dell’intervista con l’esperto di energia Norman Roule, un consulente di alto livello, per orientarci in questa complessa materia in una fase critica per il mercato dell’energia.

Cosa sta succedendo all’interno del cartello dell’OPEC?
Il ruolo dell’OPEC nei mercati petroliferi rimane profondamente significativo. Il cartello produce il 40 per cento del petrolio mondiale, ma il 60 per cento delle esportazioni totali del mondo. Questo gli dà inevitabilmente una voce importante. È anche chiaro che i leader dell’OPEC+ rimangono fiduciosi nella loro strategia per mantenere la stabilità del mercato e beneficiano di prezzi che non sono così elevati da innescare la distruzione della domanda. La disciplina dell’OPEC durante questo periodo turbolento è stata abbastanza buona, specialmente dato che è lontana da un monolite di vedute e capacità. Ad esempio, gli Emirati Arabi Uniti probabilmente sosterrebbero una produzione aggiuntiva. Mosca fa dei rumori positivi sulla sua volontà di aumentare la produzione, ma segue l’esempio di Riyadh per il profitto e il vantaggio politico che deriva dal mercato attuale. 

Riyadh rimane l’architetto dell’approccio dell’OPEC. Kuwait e Baghdad sembrano a loro agio con questa strategia. Il contenimento della produzione è reso più facile perché circa la metà dei membri dell’OPEC non sono in grado di soddisfare le quote di produzione a causa di problemi tecnici, cattiva gestione, o una mancanza di investimenti di capitale. Questo elenco comprende Angola, Gabon, Guinea equatoriale, Nigeria, Libia e Venezuela. 

Il processo decisionale del l’OPEC si basa probabilmente su una manciata di variabili, alcune prevedibili, altre no. Il cartello ha fatto bene nelle sue valutazioni della ripresa globale e dell’impatto pandemico. Ma permangono interrogativi sulla ripresa dell’aviazione. Allo stesso modo, anche i loro migliori analisti hanno difficoltà a prevedere l’impatto degli speculatori, le tendenze meteorologiche e il futuro delle sanzioni contro l’Iran e il Venezuela. Riyadh e Abu Dhabi faranno il possibile per evitare le conseguenze finanziarie e politiche dell’inflazione e di qualsiasi recessione indotta dall’energia.

Le tensioni nelle relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita sembrano aver minato la simpatia di Riyadh per le sfide di Washington. I sauditi sono stanchi di essere un obiettivo politico all’interno degli Stati Uniti. Essi sembrano anche credere che, mentre gli Stati Uniti si spaccia per essere interessati solo alle fonti di energia rinnovabili, non ha problemi a criticare il Regno quando i prezzi del gas elevati diventano una questione politica. Infine, dobbiamo ricordare che solo nel maggio 2020 un gruppo di senatori repubblicani ha pubblicamente chiesto all’Arabia Saudita di stabilizzare il mercato dell’energia. Dal punto di vista di Riyadh, ha fatto proprio questo.

I produttori di petrolio del Golfo sono seri riguardo alle energie rinnovabili?
Assolutamente. I leader regionali certamente comprendono le conseguenze del cambiamento climatico per la loro gente. Negli ultimi anni, la regione ha sperimentato alcune delle temperature più alte mai registrate, suscitando preoccupazione per il fatto che, se incontrollata, la tendenza potrebbe rendere invivibili porzioni del Medio Oriente.

Ma il loro approccio è diverso dal nostro e, come tutti sappiamo, le economie del Golfo dipendono in larga misura dalle entrate derivanti dagli idrocarburi. In misura diversa, tutti gli Stati del Golfo stanno cercando di diversificare le loro economie. Ma vogliono anche evitare una situazione in cui sono bloccati con beni strategici bloccati. In Occidente, la nostra narrazione climatica tende a concentrarsi sulla fine dell’uso degli idrocarburi. Come per la Norvegia, i produttori del Golfo sostengono che utilizzeranno le risorse provenienti dalle loro entrate petrolifere per finanziare la transizione verso una nuova economia energetica.

Il loro obiettivo tende ad essere un equilibrio tra la riduzione delle emissioni e la riduzione dell’uso di idrocarburi. Nelle ultime settimane si sono verificati diversi eventi significativi nel Golfo in cui hanno cercato di mettere in evidenza la loro decisione di spendere risorse e larghezza di banda politica in tecnologie verdi, produzione di idrogeno e soluzioni per la cattura del carbonio. Assisteremo anche a crescenti sforzi per piantare alberi e fare affidamento sul gas naturale invece che sul petrolio per la produzione di energia. Essi sostengono inoltre che cercheranno di porre fine alla combustione dei gas e di ridurre le emissioni di metano. Non credo che questi sforzi soddisferanno gli attivisti ambientali occidentali che chiedono la fine dell’uso del petrolio, ma la tendenza è innegabile.

I produttori americani di petrolio e gas come stanno rispondendo alla crisi energetica?
Molto è cambiato negli ultimi due anni. In primo luogo, il settore ha subito un significativo consolidamento. Le società pubbliche più grandi devono soddisfare gli investitori e gli istituti finanziari con un rendimento costante sul capitale proprio nel corso della crescita. Washington ha rinunciato al suo sostegno all’industria. La decisione sul gasdotto Keystone e quella di limitare le trivellazioni sulla proprietà federale ha contribuito alla riluttanza dell’industria all’espansione. Infine, alcuni investitori spingono le aziende a dedicare maggiore attenzione alle fonti energetiche rinnovabili. Durante la pandemia, questo ha ridotto l’investimento di capitale a circa la metà della spesa media, producendo così la nostra attuale capacità di produzione limitata. L’U.S. Rig Count è migliorato significativamente nell’ultimo anno, ma non su una scala che riporterebbe la produzione U.S. a livelli pre-pandemici. A breve termine, le piccole imprese private spenderanno probabilmente le risorse per espandere la produzione con le aziende pubbliche dopo aver capito cosa porterà il 2022.

I risultati parlano da soli. All’inizio della pandemia, gli U.S.A. producevano circa 12,8 milioni di barili di petrolio al giorno (BPD). Entro maggio 2020, la produzione è scesa a 9,7 milioni di BPD, e con la ripresa è ora a circa 11,3 milioni di BPD.  Siamo ancora una volta un importatore netto, portando a circa 1,3 milioni di BPD nel mese di ottobre.

Abbiamo assistito a una ripresa più ampia nella produzione di gas, in particolare in Texas. Ma la mancanza di produzione, le scarse scorte e la domanda senza precedenti dall’estero fanno sì che i consumatori dovranno affrontare bollette elevate se l’inverno è rigido e c’è il rischio di scarse forniture. Oltre al riscaldamento, le centrali a gas producono oltre il 50 per cento dell’elettricità del New England, per esempio, in modo che qualsiasi picco di prezzo si verifichi altrove nell’economia.

traduzione a cura di Sofia Mazzei

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