sabato, 20 Aprile, 2024
Società

I cristiani vincano il complesso di inferiorità

Dinanzi alla pretesa laicista di relegare sbrigativamente nel «religioso» il cristiano e di fronte al pericolo di un pluralismo indifferente che serpeggia in tutti gli schieramenti politici, occorre ridare al più presto sostanza e contenuti ad un progetto politico che, partendo dalla fede, proponga una sua concezione dell’uomo, della storia e della società.

Ciò significa innanzitutto che non ogni scelta politica è coerente e lecita per un credente. E poiché la politica tocca e coinvolge l’uomo come principio e come esito, il cristiano che si propone di fare politica, che fa politica, deve necessariamente disporre di una filosofia dell’uomo. Che non può, né soggettivamente né oggettivamente, distaccarsi dall’insegnamento del Vangelo. Evitando lo scoglio del fideismo, da una parte, e la pratica della neutralità della ragione, dall’altra, il cristiano deve sapere che la fede è capace di suscitare e rafforzare il frutto della ragione, che è la filosofia e la politica.

Da ciò discende che un impegno sociale efficace e fecondo non sarà possibile senza la ricerca e l’affermazione della verità sull’uomo e dell’uomo. Ma se questa verità non venisse ricercata ed affermata totalmente, se un’antropologia, cioè la dottrina sull’uomo, non esprimesse tutti i valori e non investisse tutti gli ambiti e gli aspetti della vita dell’uomo, si avrebbe come esito inevitabile «la mortificazione dell’uomo stesso, e non sarebbe possibile attuare una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio».

È necessario perciò che il cristiano superi quel complesso di inferiorità creatogli dall’Illuminismo in base al quale la fede sarebbe conflittuale e concorrenziale con la ragione. Tra fede e ragione vi è differenza, ma non alternatività, ed è proprio alla luce della prima che il cristiano conosce l’uomo nella sua pienezza e costruisce un’antropologia non neutra o dimezzata o ad una dimensione. A questa visione dell’uomo il cristiano deve conformare la sua azione politica. Senza rassegnazione e senza compromessi che possano significare cedimenti o mimetizzazioni sulla propria verità dell’uomo.

«Esiste, deve esistere, un’ unità fondamentale che viene prima di ogni pluralismo e che consiste nella fedeltà alla verità intera sull’uomo», scrisse Ines Biffi, «nei confronti di questa, nessun pluralismo è legittimo, e non possono essere legittime scelte e determinazioni che equivarrebbero ad una rinuncia alla propria specificità cristiana». L’ambito di opinabilità o di libera opzione dei credenti incomincia dopo questa identità e questa comunione: nel campo che potremmo dire «partitico», ma inteso il «partito» come diversa coniugazione di una identica antropologia costitutiva della Città terrena.

L’unità dei cristiani su questa verità non ammette dissociazioni ‑ come quelle dei politici che si dicono cattolici solo nel privato – né separazioni tra teoria e prassi, perché la fede sa, e deve, determinare ed informare la vita di tutti i giorni.

Se ciò non avvenisse il cristiano si renderebbe clandestino, si mostrerebbe indifferente, si mimetizzerebbe e tornerebbe nelle catacombe, diventando complice dell’aggressione all’avvenimento cristiano.

Con il gradimento e l’applauso dei laicisti di tutte le risme, che da sempre hanno tentato di sciogliere i legami della fede con la storia, lasciando questa aperta a tutte le eventualità e a tutti gli esiti. Anche i più tragici.

Riccardo Pedrizzi, Presidente Nazionale del Comitato Tecnico Scientifico dell’UCID

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