martedì, 17 Dicembre, 2024
Ambiente

Rapporto AEA: per la fast fashion l’ambiente non va di moda

Nel 2020 il consumo medio di prodotti tessili pro-capite nell’area Ue ha assorbito 400 mq di terreno, 9 m cubi di acqua, 391 kg di materie prime, provocando una impronta carbonica di 270 kg annui a persona. Sono i dati pubblicati quest’anno dall’Agenzia europea dell’Ambiente (AEA), di diretta derivazione della cosiddetta “moda veloce”, la tendenza cioè a comprare una quantità di abiti sovradimensionata, incentivati anche da politiche dei prezzi altamente competitivi, soprattutto on line, ma poi gettati via altrettanto velocemente. Per far fronte all’impatto che la fast fashion ha sull’ambiente l’unica risposta è allungarne il ciclo vitale attraverso il riciclo e modelli di economia circolare, che la Ue auspica arrivi alla sua piena maturità entro il 2050. Per questo, nel marzo 2022 la Commissione europea ha presentato una nuova strategia per rendere i tessuti più durevoli, riparabili, riutilizzabili, riciclabili e in grado di affrontare il fenomeno generato dal continuo lancio di nuove collezioni, in tempi sempre più brevi.

Il tessile, la terza fonte di degrado delle risorse idriche e dell’uso del suolo

Ma accanto al piano d’azione per l’economia circolare è fondamentale che l’Unione obblighi con delle leggi i produttori e le grandi aziende di moda a operare in modo più sostenibile. “Le persone e il Pianeta sono più importanti dei profitti dell’industria tessile”, ricorda, infatti, Delara Burkhardt, relatrice principale sul rapporto sui tessili sostenibili – S&D, Germania. Il consumo di risorse naturali da parte dell’industria tessile è davvero eccessivo. La produzione di tessuti ha bisogno di utilizzare molto acqua e molti terreni per la coltivazione del cotone e di altre fibre. Si stima che l’industria tessile e dell’abbigliamento abbia utilizzato globalmente 79 miliardi di metri cubi di acqua nel 2015, quasi un terzo dei 266 miliardi di metri cubi consumati dall’intera economia della Ue nel 2017. Più in particolare, per fabbricare una sola maglietta di cotone occorrono 2.700 litri di acqua dolce, quanto una persona dovrebbe bere in 2 anni e mezzo.

Responsabile del 10% delle emissioni globali di carbonio

Oltre al consumo c’è poi la questione dell’inquinamento dell’acqua durante i processi di tintura e finitura. Il settore tessile sarebbe responsabile del 20% dell’inquinamento dell’acqua potabile e dello 0,5 milioni di tonnellate di microfibre rilasciate annualmente nei mari dal lavaggio di capi sintetici. Infine, si calcola che l’industria della moda sia responsabile del 10% delle emissioni globali di carbonio, corrispondente nel 2020 a circa 270 kg di emissioni di CO2 per persona, 121 milioni di tonnellate in tutta la Ue.

L’orientamento del Parlamento europeo

Per la salvaguardia del Pianeta occorrono nuovi modelli di business per il noleggio di abbigliamento, la progettazione dei prodotti realizzata in modo tale da consentire che il riutilizzo e il riciclo siano più facili (moda circolare), la sensibilizzazione dei consumatori ad acquistare meno capi e di migliore qualità (moda sostenibile) e, in generale, di orientare il comportamento dei consumatori verso opzioni più sostenibili. La nuova strategia della Unione intende stimolare progettazioni per i tessuti ecocompatibili, informazioni più chiare, un passaporto digitale dei prodotti e invitare le aziende ad assumersi la responsabilità ambientale. Il 1° giugno i membri del Parlamento Europeo hanno presentato proposte per misure più rigide, chiedendo che i tessili siano prodotti nel rispetto dei diritti umani, sociali e del lavoro, nonché dell’ambiente e del benessere degli animali.

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