domenica, 22 Dicembre, 2024
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Sei un ergastolano!

L’ergastolo ostativo rappresenta un esempio di pena esemplare, introdotto a seguito della strage di Capaci nel 1992 con l’intento di colpire duramente la Mafia.

L’ergastolo ostativo non è direttamente previsto dal nostro codice penale ma nasce dal combinato disposto degli articoli 22 c.p. (ergastolo), 4 bis o.p. (divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti) e 58 ter o.p. (persone che collaborano con la giustizia); prevede, dunque, il carcere a vita senza la possibilità di ottenere benefici penitenziari a meno di non collaborare con la giustizia.

La pena esemplare riscuote grande consenso nell’opinione pubblica, ma non colpisce la Mafia, non la fa nemmeno vacillare. Il controllo attraverso l’intimidazione è proprio di uno Stato di Polizia, non di uno Stato democratico. Uno Stato civile dovrebbe “convincere” i propri cittadini della correttezza delle proprie leggi ed ottenere così un’adesione spontanea alle stesse, spezzando i legami con il mondo della criminalità.

Anche la pena dovrebbe condurre il condannato a recidere i ponti con la criminalità attraverso un percorso rieducativo che permetta al soggetto di cambiare, maturare ed essere risocializzato.

Ma quale rieducazione, quale nuova vita può offrire una pena che ti condanna a morire in carcere, senza la possibilità di ottenere una modulazione della pena in base alle proprie responsabilità, al percorso di crescita e al ravvedimento del soggetto, anzi non considerando in alcun modo né tantomeno favorendo il percorso di recupero che dovrebbe essere insito in ogni punizione imposta dallo Stato?

L’ergastolo ostativo è un doppio ergastolo che osta alla risocializzazione del condannato e non può, dunque, definirsi degno di uno Stato civile.

Se nessuna persona, per la Repubblica, è mai persa per sempre, come afferma Puggiotto, allora non si può negare a nessuno la possibilità e la speranza di cambiare.

L’ergastolo ostativo trasforma la collaborazione con la giustizia in un dovere, punendo il condannato per un comportamento successivo al fatto di reato (cioè la non collaborazione) che può avere motivazioni diverse a seconda del caso concreto. Ad esempio, molti ergastolani ostativi affermano di ripugnare l’idea di barattare la propria libertà con quella di altri; altri rifiutano di collaborare per evitare possibili ritorsioni sui propri familiari. 

Prevedere automatismi nell’esecuzione della pena (esclusione dai benefici penitenziari) legati a giudizi di pericolosità presunta, a loro volta basati semplicemente sulla non collaborazione, è a dir poco inaccettabile.

Non è la non collaborazione a determinare la pericolosità di un soggetto, tanto che la stessa Corte di Cassazione ha affermato, argomentando a contrario, che la collaborazione non è indice di ravvedimento. È il percorso svolto all’interno del carcere, il recupero e il sicuro ravvedimento a dover essere valutati. Sarebbe opportuno negare l’accesso ai benefici trattamentali in mancanza di questi presupposti ed in presenza di prove del collegamento attuale con la criminalità organizzata e non in base a presunzioni.

Eliminare la presunzione di pericolosità sociale non significa, infatti, concedere automaticamente i benefici a tutti, ma significa rimettere alla magistratura di sorveglianza il giudizio su chi può accedere o meno a tali benefici.

Lo Stato non po’ rispondere con la vendetta agli errori se pur gravi dei propri cittadini, ma deve fare giustizia, cioè riparare al danno ed “educare ” l’autore del reato a non delinquere più. Deve rispondere con progetti di bene che aiutino sia la vittima del reato sia il suo autore. Lo Stato vince quando sottrae le persone alla criminalità e non quando le mura viva all’interno di un carcere, togliendo loro anche il diritto alla speranza.

Probabilmente non tutti i condannati sono pronti o disposti ad affrontare un percorso che li porti ad essere reinseriti nella società in futuro; alcuni, forse, non lo saranno mai, ma ciò non può diventare una scusa per lo Stato per negare loro automaticamente la possibilità di un percorso rieducativo. La differenza tra soggetto risocializzato (meritevole di una alternativa al carcere a vita) e soggetto non risocializzato sarà determinata dall’esito positivo o negativo di tale percorso.

Come afferma Musumeci “la giustizia si può cercare facendo uscire il senso di colpa del detenuto”.

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