mercoledì, 9 Ottobre, 2024
Le Storie

Sacco e Vanzetti, due giovani di 20 anni, partiti col sogno americano e finiti sulla sedia elettrica (23 agosto 1927)

Sacco Ferdinando, (classe 1891) detto Nicola, di Torremaggiore in provincia di Foggia, a 17 anni, nel 1908, abbandona la collaborazione familiare agricola e decide di emigrare negli Stati Uniti col fratello maggiore che, però, dopo circa tre anni rientra in Italia. Lui, invece, non si sottrae ai vari lavori che gli sono offerti, passando da operaio in una impresa di costruzioni a una fonderia ed infine ad una fabbrica di scarpe.

Contrae matrimonio e ha due figli (Dante e Ines) per il cui mantenimento lavora sei giorni alla settimana e per dieci ore al giorno. Ciò nonostante partecipa attivamente alle manifestazioni operaie dell’epoca per ottenere salari più alti e migliori condizioni di lavoro. In tali circostanze tiene anche dei discorsi a causa dei quali nel 1916 viene pure arrestato.

Quando nel 1917 viene chiamato alle armi nell’esercito americano, nel mantenere fede al suo antimilitarismo, si rifugia in Messico ove conosce Bartolomeo Vanzetti, (classe 1888) di tre anni più grande, anch’egli renitente alla leva.

Vanzetti è originario di Villafalletto, un paese di circa 3 mila abitanti in provincia di Cuneo che abbandona a 20 anni per raggiungere New York con la motonave “Provence” il 19 giugno 1908. Sacco invece è diretto verso gli Stati Uniti con la motonave “Principe di Piemonte” e giunge a Boston il 2 maggio 1913.

Due esperienze di vita piene di sofferenze per sbarcare il lunario. Vanzetti racconta del primo imbatto negativa vissuto presso il centro immigrazione, ove si veniva “smistati come tanti animali”. “Non una parola di gentilezza, di incoraggiamento, per alleggerire il fardello di dolori che pesava così tanto su chi era appena arrivato in America”. “Dove potevo andare? Cosa potevo fare? Quella era per me come la Terra Promessa. Il treno della sopraelevata passava sferragliando e non rispondeva niente. Le automobili e i tram passavano oltre senza badare a me”.

Racconta di aver lavorato in varie trattorie, in una cava, in un’acciaieria e in una fabbrica di cordami, la Plymouth Cordage Company contro la quale, nel 1916, guida uno sciopero e per tale motivo viene licenziato e nessuno vuole più dargli lavoro. Si dedica, infine, a fare l’attività di pescivendolo con un carretto.
Al termine del conflitto bellico, tutto il collettivo che era fuggito in Messico fa ritorno nel Massachusetts, tra cui Sacco e Vanzetti, ignorando di essere stati inseriti in una lista di sovversivi dal Ministero della Giustizia.

A tale notizia Vanzetti intende protestare organizzando un comizio, ma viene anticipato dal suo arresto insieme a Sacco perché trovati in possesso di una rivoltella e di una pistola semiautomatica (con relative munizioni e Vanzetti anche in possesso di alcuni appunti per il comizio che stava programmando.
Pochi giorni dopo l’arresto vengono accusati anche di una rapina avvenuta alcune settimane prima del loro arresto, nella quale rimanevano uccisi a colpi di pistola il cassiere di un calzaturificio e una guardia giurata.

Il processo segue un percorso sfacciatamente a sfavore dei Sacco e Vanzetti, considerati ormai due agnelli sacrificali. “Immigrati italiani con una comprensione imperfetta della lingua inglese; e note le loro idee politiche radicali”. Il giudice li definisce senza mezze parole due bastardi anarchici.

Siamo negli anni 1917-1920 e per la contingente storia statunitense Sacco e Vanzetti, benché senza precedenti con la giustizia, sono conosciuti dalle autorità locali come militanti radicali coinvolti in scioperi, agitazioni politiche e propaganda contro la guerra. Il governatore pro-tempore del Massachusetts non impedisce l’esecuzione della condanna a morte, mentre Sacco e Vanzetti si ritengono vittime del pregiudizio sociale e politico.

Vanzetti, in particolare prima della sentenza definitiva di morte, si rivolge per l’ultima volta al giudice, dicendogli: “Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra – non augurerei a nessuna di queste creature ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un anarchico, e davvero io sono un anarchico; ho sofferto perché sono un italiano, è davvero io sono un italiano […] e se voi poteste giustizieresti due volte, e se potessi rinascere altre due volte, vivrei di nuovo per fare quello che ho fatto già”.

La condanna a morte mediante la sedia elettrica è eseguita nella notte del 23 agosto 1927, a distanza di pochi minuti fra loro due, preceduta da ben 10 giorni di continue manifestazioni di migliaia di partecipanti, sorvegliati dalla polizia e dalla guardia nazionale con le mitragliatrici puntate.

Anche le fasi successive alla loro cremazione ed esattamente quelle del trasferimento delle salme in Italia sono state un vero odissea tra controlli vessatori di polizia, anche alla frontiera.

Ogni anno il 23 agosto, dal 1977, in occasione del 50esimo anniversario Sacco e Vanzetti, sono ricordati presso i rispettivi cimiteri; mentre proprio in quella circostanza il Governatore pro-tempore dello Stato del Massachusetts, ne riconobbe ufficialmente gli errori commessi nel processo, riabilitando completamente la loro memoria.

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