martedì, 30 Aprile, 2024
Cultura

Storia di una capinera: inarrivabile la redenzione nei rapporti familiari

È lunga due anni la storia del tour di questa capinera, realizzata grazie al progetto Teatrando, che è ottimamente riuscito nell’impegnativa impresa di portare in scena i capolavori verghiani e mettere in luce quanto le dinamiche familiari, fatte le debite proporzioni temporali, siano sempre attentate dalla cecità e dalla ferocia umana. Lo spettacolo dopo aver iniziato il tour a Catania a maggio del 2022, si conclude a Noto il 21 marzo 2024, all’entrar di primavera, quasi il caso voglia addolcire l’appassimento mortale di una simile delicata creatura, quale la Maria, la capinera, che il romanzo di Verga consegna al nostro cuore. È nel passaggio al Teatro Quirino, dal 20 febbraio al 3 marzo, che ho avuto modo di apprezzare l’impianto registico e l’interpretazione degli attori che hanno portato in scena la “storia di una capinera”, di cui di seguito riporto l’incipit di Giovanni Verga:
“Avevo visto una capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia ci guardava con occhio spaventato; si rifuggiva in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell’azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime. Ma non osava ribellarsi, non osava tentare il rompere il fil di ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera. Eppure i suoi custodi, le volevano bene, cari bambini che si trastullavano col suo dolore e le pagavano la sua malinconia con miche di pane e con parole gentili. La povera capinera cercava rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva; non voleva rimproverarli neanche col suo dolore, poiché tentava di beccare tristamente quel miglio e quelle miche di pane; ma non poteva inghiottirle. Dopo due giorni chinò la testa sotto l’ala e l’indomani fu trovata stecchita nella sua prigione.

Era morta, povera capinera! Eppure il suo scodellino era pieno. Era morta perché in quel corpicino c’era qualche cosa che non si nutriva soltanto di miglio, e che soffriva qualche cosa oltre la fame e la sete.
Allorché la madre dei due bimbi, innocenti e spietati carnefici del povero uccelletto, mi narrò la storia di un’infelice di cui le mura del chiostro avevano imprigionato il corpo, e la superstizione e l’amore avevano torturato lo spirito: una di quelle intime storie, che passano inosservate tutti i giorni, storia di un cuore tenero, timido, che aveva amato e pianto e pregato senza osare di far scorgere le sue lagrime o di far sentire la sua preghiera, che infine si era chiuso nel suo dolore ed era morto; io pensai alla povera capinera che guardava il cielo attraverso le gretole della sua prigione, che non cantava, che beccava tristamente il suo miglio, che aveva piegato la testolina sotto l’ala ed era morta.
Ecco perché l’ho intitolata: Storia di una capinera.”

Con queste parole, l’autore ha ben svelato intenti e ispirazioni di un dramma silenzioso, nascosto, tanto frequente e quotidiano quante sono le storie delle persone comuni, dei senza targa, senza menzione, risucchiati dai mulinelli dell’anonimato, di questa sorte amplificata dalla diminutio sociale d’esser donna che lambiva dignità e diritti. Ma è la regia, sapientemente dosata tra tradizione e contemporaneità a far tornare in vita tutto lo slancio e la caduta di questa capinera. L’impianto scenico è classico all’apparenza, ben capace di trasmettere l’immobilità di luoghi e delle posizioni psicologiche dei personaggi che hanno potere sulle vite altrui, mentre la scenografia è resa viva e presente, fluida come la vibrazione della gioia e delle lacrime, da proiezioni su tende a listelli fluttuanti. Magistrali i due protagonisti Enrico Guarnieri e Nadia de Luca, spicca lui nei monologhi quanto lei nella mimica: entrambi straordinari. Ottima è stata anche la prova d’attore di tutto il resto del cast. Commosso e partecipe, il pubblico ha applaudito con calore a questo mirabile spettacolo che conferma quanto la stagione teatrale del Quirino offra costantemente qualità e tradizioni mai banali. Tutti siamo tornati a casa con l’amara consapevolezza che ogni giorno, in ogni parte del mondo, c’è una capinera che muore della sordità emotiva di chi dovrebbe amarla, come ben spiegato nelle note di regia.
NOTE DI REGIA
Ecco perché l’ho intitolata Storia di una Capinera, così Giovanni Verga introduce il suo romanzo epistolare, una di quelle intime storie, che passano inosservate tutti i giorni, storia di un cuore tenero, timido, che aveva amato e pianto e pregato senza osare di far scorgere le sue lagrime o di far sentire la sua preghiera, che infine si era chiuso nel suo dolore ed era morto.
“Storia di una capinera” è la passionale narrazione della novizia Maria che attraverso la mia messinscena trova una nuova codifica della struttura drammaturgica del romanzo per fare emergere il rigido impianto culturale e umano delle famiglie dell’epoca.
Perché se Maria è vittima, non lo è dell’amore peccaminoso per Nino che fa vacillare la sua vocazione, ma lo è del vero peccatore ‘verghiano’ che è il padre Giuseppe Vizzini.
Giuseppe che, rimasto vedovo, manda in convento a soli sette anni la primogenita, condannandola all’infelicità. Un uomo che per amore, paura e rispetto delle convenzioni causa a Maria la morte del corpo e dello spirito.
È sul drammatico rapporto padre figlia, sui loro dubbi e tormenti che si mette in scena la storia della Capinera.
La stanza del convento è il centro della scena, Maria non esce da quella prigione, e il padre Giuseppe ne è il carceriere. Entrambi dolorosamente vittime e carnefici.
Ogni evento che deflagra nella mente di Maria, ogni personaggio altro che scardina il viaggio del noviziato di Maria, sono gli elementi drammaturgici per sviscerare il dramma interiore di un padre che finisce per uccidere la figlia.
È il racconto di legami infelici, di dinamiche familiari per noi oggi impossibili da immaginare ma che Verga racconta con l’inesorabilità di una condanna.
Con Progetto Teatrando, nel meraviglioso percorso teatrale attraverso i capolavori verghiani approdiamo all’atto finale, Storia di una capinera, scegliendo la versione più violenta e disperata della scrittura di Giovanni Verga.
Non c’è redenzione per Maria, non c’è redenzione per il padre Giuseppe, e nemmeno per noi. Perché la redenzione non appartiene alla Sicilia di Giovanni Verga.” Guglielmo Ferro
Cast:

ENRICO GUARNERI
NADIA DE LUCA
STORIA DI UNA CAPINERA
Di Giovanni Verga
Con la partecipazione straordinaria di Emanuela Muni
E con (in ordine alfabetico)
Rosario Marco Amato Verdiana Barbagallo Federica Breci
Alessandra Falci Elisa Franco Loredana Marino Liborio Natali
Regista collaboratore Giampaolo Romania
Scene Salvo Manciagli
Costumi Sartoria Pipi
Regia GUGLIELMO FERRO
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