giovedì, 2 Maggio, 2024
Attualità

Primi ostaggi a casa

Netanyahu: continueremo la caccia anche all’estero dei terroristi. Idf: non è la fine della guerra

Tregua difficile, quanto e più della guerra. Doveva cominciare ieri, ma dettagli che non potevano essere trascurati hanno costretto a rinviarla a oggi. Forse domani. Il braccio armato di Hamas, le brigate Ezzedine al-Qassam, hanno comunicato che l’accordo c’è e l’ufficio del premier israeliano Netanyahu ha confermato di aver ricevuto, e verificato, un elenco degli ostaggi. Secondo quanto scrive Hamas, la tregua “durerà quattro giorni a partire da oggi e comprende un arresto completo delle attività militari.” Durante questo periodo, “50 prigionieri, donne e bambini sotto i 19 anni, saranno rilasciati” in cambio, per ciascuno di loro, del rilascio di “tre prigionieri palestinesi, donne e bambini.”

La mediazione dell’Egitto

L’accordo di tregua è confermato da giorni e da numerose fonti. Diaa Rashwan, capo dell’ufficio stampa del governo egiziano, ha spiegato che l’Egitto ha ricevuto gli elenchi dei detenuti e dei prigionieri palestinesi e israeliani, il cui rilascio è previsto nel pomeriggio. Una fonte ufficiale ha poi precisato alla tv statale Al-Qahera che saranno liberati 13 ostaggi contro 39 prigionieri palestinesi. “L’Egitto invita entrambe le parti ad impegnarsi ad attuare l’accordo di tregua secondo quanto previsto e concordato.” Hamas ha anche reso noto che 200 camion consegneranno “aiuti umanitari e forniture mediche” a “tutte le aree della Striscia di Gaza”, ogni giorno, durante i quattro giorni di cessate il fuoco. Altri quattro camion consegneranno carburante e gas da cucina all’enclave. Secondo il Wall Street Journal il ritardo relativo al rilascio degli ostaggi sarebbe stato dovuto a divergenze sul luogo della loro consegna. Israele vuole che i prigionieri vengano consegnati alla Croce Rossa (che però sostiene di non saperne niente) per poi trasferirli in patria mentre Hamas vorrebbe consegnarli direttamente all’Egitto.

La mediazione del Qatar

Il portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, Majed al-Ansari, ha riferito che gli ostaggi che appartengono alle stesse famiglie verranno liberati insieme. Non è possibile rivelare informazioni sulle rotte attraverso le quali i sequestrati verranno portati fuori da Gaza per “motivi di sicurezza.” “Ci concentreremo sul garantire che arrivino sani e salvi attraverso la nostra sala operativa.” Quanto al rilascio degli ostaggi non israeliani, cioè diversi cittadini di paesi asiatici, “i criteri in base ai quali dare la priorità sono puramente umanitari e il nostro obiettivo era quello di portare donne e bambini fuori pericolo il più presto possibile.” Secondo il portavoce qatarino la tregua tra Hamas e Israele è prevista per le 6 ora italiana. I primi 13 ostaggi nelle mani di Hamas saranno liberati alle ore 15. Seguirà il rilascio dei detenuti palestinesi. Cinquanta degli ostaggi nelle mani di Hamas “verranno liberati entro i prossimi quattro giorni”. I criteri con i quali sono stati scelti sono “puramente umanitari.” “La speranza”, ha detto Majed al-Ansari, “è che lo slancio portato da questo accordo ci aiuti a far uscire tutti in tempo e allo stesso tempo, ovviamente, a ridurre le difficoltà della popolazione di Gaza attraverso la pausa umanitaria.”

Netanyahu: caccia a Hamas anche all’estero

Il premier israeliano ha comunque sottolineato che il Governo intende andare avanti con i suoi “obiettivi di guerra”, ovvero “sradicare Hamas, perché Hamas ha già promesso che lo farà ancora, ancora e ancora. Sono un culto terroristico genocida”.
Netanyahu ha dichiarato di aver incaricato il Mossad di rintracciare i vertici del gruppo dei miliziani che vivono in altri Paesi al di fuori di Gaza: “ovunque si trovino”. La maggior parte dei vertici di Hamas, infatti, vive in esilio, principalmente nello Stato del Golfo del Qatar e nella capitale libanese di Beirut.

Idf: non è la fine della guerra

Mentre i vertici militari ribadiscono che la tregua non è “la fine della guerra.” Il capo di stato maggiore dell’Idf, tenente generale Herzi Halevi, parlando alle truppe della 36esima Divisione, ha spiegato che si sta cercando di “collegare gli obiettivi della guerra, in modo che la pressione dell’operazione di terra porti alla possibilità di raggiungere anche l’obiettivo di creare le condizioni per il rilascio degli ostaggi rapiti.” “Non porremo fine alla guerra. Continueremo finché non saremo vittoriosi, andando avanti e proseguendo in altre aree di Hamas.” L’esercito è mobilitato anche per evitare che durante i giorni di tregua gli sfollati a sud della Striscia tornino nell’area settentrionale. Hamas, nonostante l’accordo di tregua, non è da meno, ieri sera ha chiesto un’escalation dello scontro con Israele su tutti i fronti della resistenza. “Chiediamo un’escalation dello scontro con l’occupazione in tutta la Cisgiordania e su tutti i fronti della resistenza”, ha detto, tra l’altro, il portavoce delle Brigate Izz el-Deen al-Qassam, Abu Ubaida, in un video-discorso trasmesso da Al Jazeera.

Arrestato direttore dello Shifa

Ieri a Gaza è stato arrestato il direttore dell’ospedale al-Shifa, Mohammad Abu-Salmiya, perché è accusano di avere consentito “l’uso dell’ospedale come quartier generale di Hamas”. Secondo Israele, Hamas ha sfruttato molte risorse, compresa l’elettricità, per rafforzare il sistema di tunnel costruito sotto l’ospedale e per immagazzinare armi ed equipaggiamento da combattimento dentro e intorno all’ospedale. Dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre, sempre secondo Israele, Hamas ha utilizzato l’ospedale come rifugio per i suoi militanti e vi ha anche portato prigionieri israeliani. Inoltre – ha dichiarato il portavoce militare – “dopo il massacro del 7 ottobre, terroristi di Hamas hanno cercato rifugio all’interno dell’ospedale, alcuni di loro portando con sé ostaggi provenienti da Israele. Una perizia patologica ha confermato anche che l’omicidio della soldatessa Noa Marciano è avvenuto all’interno dell’ospedale.” Il medico è ritenuto responsabile da Israele perché sotto la sua gestione si svolgeva una vasta attività terroristica di Hamas. A seguito dell’arresto del medico il ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, ha annunciato la sospensione del coordinamento con l’Oms; in concreto questo significa che l’evacuazione dei feriti e delle rimanenti squadre mediche, di fatto, viene bloccata.

Oxfam: rischi per donne incinte

La situazione igienica e sanitaria di Gaza fa scattare, ogni giorno, gli allarmi delle organizzazioni umanitarie che si trovano nella Striscia. Ieri è toccato a Oxfam secondo la quale tantissimi neonati, con meno di 3 mesi di vita, stanno morendo per diarrea, ipotermia, disidratazione e infezioni. ”Tante madri in questo momento non possono contare su quasi nessun supporto medico e sono costrette ad andare avanti senza acqua, servizi igienici, riscaldamento e cibo – spiega Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia -. Se anche la pausa umanitaria di quattro giorni sarà mantenuta, non basterà assolutamente per far fronte agli immensi bisogni della popolazione.” Secondo l’organizzazione al momento a Gaza ci sono 500 donne incinte tra le 35.000 persone stipate in 13 rifugi privi di acqua potabile e servizi igienici, con 600 persone costrette a condividere un solo bagno. Le nascite premature sono aumentate del 25-30% a cause delle condizioni di incredibile stress a cui sono sottoposte le donne: costrette spesso a fuggire e camminare per lunghe distanze per salvarsi dai bombardamenti o a sopravvivere in centri sovraffollati. In questo contesto, ad esempio, nel nord di Gaza i casi di distacco della placenta durante la gravidanza sono più che raddoppiati, mettendo a rischio la sopravvivenza di madri e figli. Tutto questo in un contesto, dove già prima del conflitto in corso, si registrava uno dei tassi di mortalità neo-natale più alti al mondo, pari al 68% di tutti i decessi infantili.”

Parolin: il Papa parla non come vogliono gli altri

Infine da riportare il trascinamento, dall’altro ieri, anche della polemica per le parole del Papa che avrebbe parlato di “genocidio” durante l’incontro con una delegazione di palestinesi in Vaticano. Ieri è intervenuto il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi che a cercato di gettare acqua sul fuoco anche perché, nel frattempo, è scesa in campo anche l’assemblea dei Rabbini d’Italia (ARI) che, a sua volta, ha criticato Papa Francesco perché starebbe “mettendo sullo stesso piano innocenti strappati alle famiglie con persone detenute spesso per atti gravissimi di terrorismo.”

“Il Papa è attento e guardate che questo non è mettere tutti sullo stesso piano”, ha dichiarato Zuppi, “il 7 ottobre è stata una tragedia, punto e basta.” Da qui “l’attenzione” e la “condanna”. Sul fatto che il Papa chieda il cessate il fuoco, Zuppi ha detto che “c’è una sofferenza terribile, e guardando lontano mi sembra che spinga per un’altra soluzione perché si combatta davvero il terrorismo, togliendo tutto ciò che per certi versi paradossalmente lo può giustificare.” “Questa è la posizione del Papa – ha concluso Zuppi – e non è che non capisce le motivazioni del governo israeliano.” Riferendosi a quanto riportato sulle parole di Papa Francesco l’assemblea dei Rabbini italiani aveva scritto che “queste prese di posizione al massimo livello seguono dichiarazioni problematiche di illustri esponenti della Chiesa in cui o non c’è traccia di una condanna dell’aggressione di Hamas oppure, in nome di una supposta imparzialità, si mettono sullo stesso piano aggressore e aggredito.” “Ci domandiamo a cosa siano serviti decenni di dialogo ebraico cristiano parlando di amicizia e fratellanza – si legge ancora – se poi, nella realtà, quando c’è chi prova a sterminare gli ebrei invece di ricevere espressioni di vicinanza e comprensione la risposta è quella delle acrobazie diplomatiche, degli equilibrismi e della gelida equidistanza, che sicuramente è distanza ma non è equa.”

Sulla questione è poi intervenuto il Segretario di Stato del Vaticano, cardinale Pietro Parolin che ha parlato di accuse che “non hanno senso” e ha precisato: “i rapporti col mondo ebraico non sono in discussione.” Il Papa e la Santa Sede, ha spiegato, “sono vicini alle sofferenze di tutti”: non si è “sorvolato” nel condannare il terribile attacco di Hamas del 7 ottobre; allo stesso tempo non si può “ignorare” quanto accade a Gaza, “dove ci sono stati tanti morti, tanti feriti, tante distruzioni”. “Non mi pare però – ha puntualizzato il capo della diplomazia vaticana – che ci sia una equivalenza. Assolutamente. Quello che c’è da dire lo abbiamo sempre detto anche se nelle forme che si addicono alla Santa Sede”. E “quello che il Papa dice, lo dice chiaramente. Certo, non come vogliono loro”.

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