giovedì, 2 Maggio, 2024
Economia

Congedi familiari e parità salariale per ridurre il gender gap in Italia

Secondo i dati che emergono dalla recente analisi condotta da Cerved nell’ultimo anno, il nostro Paese ha registrato risultati molto negativi rispetto agli altri Stati europei riguardo al gender Gap. Infatti, Islanda, Norvegia, Finlandia, Svezia e Germania sono tra le nazioni più virtuose riguardo alla tutela della parità di genere nel mondo del lavoro. L’Italia è scesa al 79° posto del Global Gender Gap Index, il rapporto annuale stilato dal World Economic Forum per monitorare l’evoluzione della parità di genere nel mondo e per invertire la tendenza e colmare il gender gap in Italia, secondo Maria Laura Albini, Partner ARAD Digital, è necessario adottare alcuni accorgimenti all’interno delle aziende di tutto il Paese.

Cultura aziendale inclusiva

Il primo passo per il superamento del gender gap è incentivare la creazione di un ambiente di lavoro privo di pregiudizi e stereotipi di ogni tipo. Per costruire un’organizzazione inclusiva è importante agire su più livelli: sulle politiche, sulle strutture e sui comportamenti e sostenere iniziative dall’alto verso il basso, per dare il buon esempio, ma anche dal basso verso l’alto, coinvolgendo tutti i dipendenti a prescindere dall’anzianità o dal ruolo.

Equilibrio tra vita professionale e privata

Smartworking, flessibilità oraria, bonus asilo o baby-sitter sono solo alcuni degli accorgimenti che è possibile adottare per ridurre lo stress e gli ostacoli alla carriera, dovuti alle difficoltà di conciliare lavoro e famiglia. Non solo, essi possono anche contribuire a migliorare la produttività e l’efficienza dei dipendenti, riducendo l’assenteismo dovuto a problemi legati alla cura dei figli o dei familiari, solitamente a carico delle lavoratrici donne.

Parità salariale

Uno degli effetti più concreti del gender gap è il divario nelle retribuzioni, ovvero il gender pay gap. La retribuzione dovrebbe essere sempre basata su criteri meritocratici trasparenti e condivisi e non sul genere del lavoratore. Il divieto di discriminazione salariale è già presente in molte nazioni, tra cui l’Italia, dove l’art. 46 del d. lgs. 11 aprile 2006 n. 198 prevede che le aziende pubbliche e private con più di 100 dipendenti siano tenute a redigere ogni due anni un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile riguardo ad assunzioni, formazione, promozione professionale, livelli, passaggi di categoria o di qualifica. Trasparenza retributiva e obbligo di compilazione del registro dei salari per tutte le imprese, indipendentemente dalle loro dimensioni, potrebbe essere la soluzione al problema.

Congedo di paternità

Infine per Maria Laura Albini é necessario che non siano solamente le donne ad assentarsi dal lavoro nei primi mesi di vita del bambino, ma anche i padri hanno il diritto di prendersi cura dei figli nei primi anni di vita e soddisfarne i bisogni affettivi e relazionali. La maternità, infatti, è una delle principali motivazioni di discriminazione delle donne sul lavoro e degli ostacoli al loro percorso di carriera.

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