venerdì, 29 Marzo, 2024
Cultura

La bellezza della complessità. Cristina Campo a 100 anni dalla nascita

Il prossimo 29 aprile ricorrerà il centenario della nascita di Cristina Campo, voce imprenscindibile del Novecento.

Vittoria Guerrini, questo il vero nome di Cristina Campo, nata a Bologna il 29 aprile 1923, è stata scrittrice, poetessa, critica letteraria, consulente editoriale, traduttrice; straordinaria ed originale interprete della più profonda spiritualità insita nella letteratura europea. La prosa di Cristina Campo è tra le più belle della letteratura italiana, caratterizzata dall’utilizzo della scrittura critica asssurta a paradigma della letteratura stessa e percià divenuta scrittura d’arte.

Una prosa che sfugge ad ogni rigida e univoca classificazione e che ripercorre quegli itinerari esistenziali e attraversando quei luoghi che hanno segnato la parabola artistica della Campo mente in filigrana emerge la vicenda umana della scrittrice, intensa e suggestiva.

La misura essenziale del pensiero di Cristina Campo potrebbe racchiudersi nel titolo “Il segno preciso delle cose nella dissolvenza del tempo, tra visibile e invisibile”: è la fedeltà alla realtà precisa del visibile che permette lo spostamento di prospettiva e il rovesciamento dello sguardo per il cui l’invisibile diventa l’autentica trama significante della realtà; ed è allora che sentiamo la vita che rispende perché in rapporto con il suo mistero. Come scrive la Campo, sono i rigorosi esercizi per pianoforte di Chopin a permettere la leggerezza, la forma ariosa che è resa possibile dalla fermezza con cui la mano sinistra mantiene la misura.

Il pensiero di Cristina Campo, a prima vista, potrebbe sembrare a molti inattuale. Come considerare i suoi testi guidati dall’amore assoluto per la perfezione in un tempo come il nostro?

La stessa Cristina Campo fornisce una risposta quando in una lettera parla del proprio tempo come quello in cui tutto ciò a cui tenevamo è andato perduto. Bisogna dunque riallacciare la fine del nostro tempo con quello che è andato perduto, ma per compiere questa impresa è indispensabile amare la realtà come si presenta, tanto diversa da come vorremmo che fosse. La forza del tempo ferito è proprio questa: le illusioni sono venute meno e ne resta la realtà.

Cristina Campo sottolinea con forza che lo spirituale e il corporeo sono integrati insieme nel mistero della reincarnazione, il divino attraversa e coinvolge il sensibile, cosicché corpo e spirito non sono separati, ma intimamente uniti al divino. Tale verità secondo la Campo era ben presente nel Cristianesimo delle origini e che si è andata perduta nel mondo di oggi, anche se ne ne ritrovano tracce nel mondo bizantino e nella devozione popolare. La scrittrice non rinnega la speranza come virtà teologale ma la rigetta interamente come speranza mondana.

Sulla scia di Simone Weil, Cristina Campo distrugge tutto ciò che può prendere idolatricamente il posto del vero Dio, ponendo l’accento sulla forma formante e sulla trasfigurazione dei sensi corporei in sensi naturali.

Negli scritti dell’autrice bolognese, il tema della vocazione e del destino assume un ruolo fondamentale, nei testi contenuti negli Imperdonabili e in quelli dedicati alla fiaba, genere molto amato dalla Campo: si sostiene che nulla c’è da imparare su questa terra e che caparbia, inesausta lezione delle fiabe, è la vittoria sulla legge di necessità, il passaggio costante ad un nuovo ordine di rapporti. La vittoria sulla legge è da intendere come dissidenza dal gioco delle forze che normalmente governa le relazioni umane poiché tutto in noi obbedisce alla forza salvo un piccolo aperto al soprannaturale.

La riflessione sualla fiaba permette a Cristina Campo di accostare tra loro i due estremi della vita: l’infanzia e la vecchiaia. Fiaba e mistica condividono la consapevolezza che l’illuminazione non si raggiunge, viene da se, e verra da se quando il tempo sarà maturo.

Scrittrice spirituale e di fede cristiana, per Cristina Campo sia le fiabe che i Vangeli non trasmettono norme valide per sempre, indipendentemente dalle circostante, ma invitano a leggere nella vita stessa i segni che vengono via via offerti, a decifrare la potenza dei simboli nel loro concreto quanto inaspettato affacciarsi qui e ora, in modi sempre diversi e imprevedibili.

L’invisibile per Cristina Campo, ha radici in un tempo mitico, che è tale perché non riconducibile alla somma dei fatti accaduti. Ecco perché è lo stesso paesaggio a costituire per la Campo, un elemento di felicità: la fede rende possibile il riconoscimento di simboli in ciò che è avvenuto realmente. In Sotto falso nome, la scrittrice scrive che le quattro linea della felicità che guidano la strada da Oriente e Occidente sono il linguaggio, il paesaggio, il mito, e il rito. Il paesaggio congiunge l’infanzia con la vecchiaia, l’inizio con la fine; si tratta di un avanzamento di ritorno, come il vecchio che rievoca, raccontando fiabe ad un bambino, la propria infanzia.

Dalla letteratura mistica, dalla figura della fonte traboccante, Cristina Campo ricava la nozione di soprammercato, apllicandola alla fiaba: il punto di svolta decisivo è l’illuminazione dell’eroe della fiaba, la propria conversione e ricompensa. Il lieto fine della fiaba è donato in sovrappiù.

A Cristina Campo si deve una delle formule simboliche più pregnanti dell’agire mistico, una massima dell’azione cui si attengono anche i protagonisti delle fiabe. Si tratta di una di quelle formule irrinunciabili come ad esempio: «Tutto pur di salvare mia madre», la formula simbola che apre l’ingresso alla quarta dimensione.

Cristina Campo è antimoderna, conservatrice, alchemica e appassionata custode della tradizione, è stata una fata lottatrice che ha tradotto William Carlos Williams, che sistemava le bozze dei romanzi di Alessandro Spina, un genio negletto in paese di invidiosi e cialtroni, amante dei versi di di T.E. Lawrence ed Emily Dickinson. Cristina Campo ci dice che la poesia è sigma, rovina, affioramento di luci tra le tenebre. Per questo è sempre attuale.

“Nel mondo, solo esseri caduti all’ultimo grado dell’umiliazione, molto al di sotto della mendicità, non solo privi di considerazione sociale ma giudicati da tutti come sprovvisti della prima dignità umana, la ragione, solo quelli hanno effettivamente la possibilità di dire la verità. Tutti gli altri mentono”.

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