venerdì, 26 Aprile, 2024
Società

Le radici culturali dell’impegno politico di don Luigi Sturzo

Il 26 novembre è ricorso il centocinquantesimo anniversario della nascita del servo di Dio don Luigi Sturzo. Egli nacque a Caltagirone dal cav. Felice dei baroni d’Altobrando e da Caterina Boscarelli, che ebbero cinque figli: Margherita direttrice dell’Apostolato della preghiera, Mario che divenne vescovo di Piazza Armerina, Remigia che si consacrò al Signore nelle Figlie della Carità con il nome di Giuseppina e i due gemelli Luigi e Nelina, che rimase sempre legata al fratello sacerdote.

Per andare alle radici dell’impegno pastorale sociale e politico di don Luigi Sturzo bisogna studiare gli influssi della prima educazione nell’ambiente familiare, la formazione seminaristica nei seminari di Acireale, Noto e Caltagirone, gli studi all’Università Gregoriana, gli incontri con gli esponenti del movimento cattolico nazionale e siciliano e gli influssi che hanno avuto nella sua maturazione intellettuale e nel suo impegno politico pensatori italiani e stranieri. Nel giovane Sturzo si nota un certo influsso del filone agostiniano e francescano che in seguito cercò di conciliare con un neotomismo aperto alla modernità. La sua «conversione» all’azione sociale e la sua «vocazione politica» fu provocata più che dalla lettura dei documenti del magistero ecclesiastico fra i quali primeggia la Rerum Novarum di Leone XIII e dalla sua esperienza romana durante la quale ebbe modo di incontrare vari esponenti del movimento cattolico-sociale quali il cardinale Rampolla del Tindaro, mons. Radini Tedeschi, mons. Salvatore Talamo, il prof. Giuseppe Toniolo, e di constatare la miseria sia nei quartieri popolari romani dove fu mandato a benedire le case.

Luigi Sturzo ebbe coscienza dell’importanza della dimensione culturale della fede per alimentare l’impegno pastorale e sociale. Fu influenzato oltre che da Gioacchino p. Ventura, antesignano del movimento neo guelfo, anche da alcune personalità rappresentative del «cattolicesimo liberale» tra i quali Rosmini, Gioberti, Manzoni e, tra gli esponenti del movimento cattolico-sociale europeo da Frédéric La Play, Léon Harmel, Joseph Biederlack, Wilhelm Emanuel von Ketteler. Aderì alla «Società cattolica italiana per gli studi scientifici» diretta dal Toniolo e alla quale collaboravano Murri, Minocchi e Semeria. Anche se era un attento lettore e autore degli articoli della rivista murriana “«Cultura Sociale» la sua formazione teologica e i suoi interessi in campo culturale e sociale lo renderanno estraneo alle suggestioni del movimento modernista. L’impegno culturale di Luigi era finalizzato all’azione sociale. In Sturzo c’è un sano equilibrio di «vero» e di «fatto» per usare la terminologia vichiana tanta cara a Sturzo, per cui è difficile distinguere il teorico dal realizzatore.

Dopo lo scioglimento dell’Opera dei Congressi don Luigi non seguì con molto entusiasmo le prime Settimane Sociali dei cattolici. Pur riconoscendo che esse volevano imprimere nuovo vigore al pensiero sociale dei cattolici si sarebbero limitate all’elaborazione di teorie, trasformando i dibattiti in corsi di istruzione.

Don Luigi Sturzo era interessato più che ai dibattiti ideologici all’impegno amministrativo come consigliere comunale, provinciale e pro- sindaco di Caltagirone come banco di prova per inserire i cattolici nella politica nazionale. Egli pervenne all’elaborazione della sua idea di partito non da un disegno teorico, ma attraverso la partecipazione attiva alla vita amministrativa della sua città dove introdusse al posto dei partiti personali e clientelari un partito fondato su uno specifico programma di ispirazione democratico-cristiana. Nel dicembre 1905 ipotizzò un partito nazionale laico di ispirazione cristiana, che si distinguesse sia dal partito confessionale dei conservatori, sia dal partito pragmatico di Filippo Meda, sia da quello ideologico di Romolo Murri. Nel 1905 inizia per don Luigi Sturzo, con il permesso del suo vescovo e della Santa Sede, l’avventura di pro-sindaco di Caltagirone, che durò fino al 1919, quando divenne segretario del Partito Popolare Italiano. Egli concepì il popolarismo, caratterizzato dagli aggettivi “democratico”, “liberale” e “sociale” sia in termini dottrinali sia a livello politico, come contributo e stimolo operativo orientato alla «educazione morale della vita pubblica». Nel popolarismo confluiscono il pensiero dei cattolici liberali con quello dei cristiani sociali e dei democratici cristiani. Il partito ideato e realizzato da Sturzo vuole permeare con i suoi valori la realtà culturale e sociale e si oppone ad ogni forma di dittatura, allo statalismo e alla partitocrazia. L’interesse di don Luigi Sturzo per la rilevanza della cultura cattolica nella società contemporanea emerge nel carteggio con il fratello Mario tra il 1924 e il 1940 nel periodo in cui Luigi era in esilio. Tra gli autori contemporanei vengono citati il filosofi francesi Laberthonnière, Bergson, Blondel, Gilson, Maritain, gli idealisti italiani Croce e Gentile, lo storico della spiritualità Bremond.

I due fratelli, pur differenziandosi in alcuni punti erano uniti da un’unica concezione antropologica: l’umanesimo integrale aperto al soprannaturale. Il rapporto fra naturale e soprannaturale viene affrontato sistematicamente da don Luigi nell’opera, pubblicata durante l’esilio in inglese nel 1943. «La Vera Vita: sociologia del soprannaturale», in cui Sturzo, partendo da un’analisi della società, vista nella sua concretezza storica, afferma che uno studio globale di essa non può trascurare l’inserimento della realtà nell’ordine soprannaturale. Quest’impostazione del rapporto fra grazia e natura si ritroverà sia nella sua concezione della cultura, sia nell’elaborazione del progetto di un partito laico di ispirazione cristiana, sia nella sua sociologia storicista intesa come antropologia sociale, cristiana nella radice anche se laica nelle foglie.

Nel ricostruire la formazione culturale e la biografia intellettuale di Luigi Sturzo il prof. Alfred Di Lascia, professore di filosofia al Manattan College di New York intravede influssi agostiniani, vichiani, leibneziani, blondeliani, che egli cercò di elaborare in modo originale tentando una sintesi tra la fede e la ragione, la natura e la soprannatura, la Chiesa e lo Stato. È impossibile capire profondamente don Luigi Sturzo, che secondo il motto bergsoniano che gli è stato attribuito «pensò come uomo d’azione, agì come uomo di pensiero», se si prescinde dalla sua concezione del rapporto fra cultura e politica e dalla sua visione teologica basata sul realismo del soprannaturale, che ha permeato non solo la sua vita interiore ma anche tutta la sua vastissima opera in campo culturale, sociale e politico.

Il tentativo di don Luigi Sturzo di realizzare un impegno politico e sociale, alimentato da una solida base culturale che ha le sue radici nell’insegnamento sociale della Chiesa che interpreta in modo creativo e aperto e che s’ispira a vari autori presenti nel panorama della cultura moderna e contemporanea. L’impegno politico sturziano, che è concepito come atto di amore verso la comunità, aperto alla ricerca della verità e rispettoso sia di una ben intesa integralità del cristianesimo sia di una sana laicità della politica, riveste ancora una sua attualità e può essere un antidoto rispetto all’antipolitica e al populismo.

A distanza di centocinquant’anni dalla sua nascita è importante quanto ha scritto papa Francesco nel messaggio autografo ha rivolto ai partecipanti al Convegno Internazionale che si è tenuto a Caltagirone il 15 giugno 2019: “Luigi Sturzo, prima che statista, politico, sociologo e poliedrico letterato, era un sacerdote obbediente alla Chiesa, un uomo di Dio che ha lottato strenuamente per difendere e incarnare gli insegnamenti evangelici, nella sua terra di Sicilia, nei lunghi anni di esilio in Inghilterra e negli Stati Uniti e negli anni ultimi della sua vita a Roma .Il suo insegnamento e la sua testimonianza di fede non devono essere dimenticati, soprattutto in un tempo in cui è richiesto alla politica di essere lungimirante per affrontare la grave crisi antropologica”.

   * Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale

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