sabato, 20 Aprile, 2024
Ambiente

La mascherina “vive” 400 anni. Non gettiamola per terra

Mascherine e guanti chirurgici hanno rappresentato negli ultimi due anni lo strumento di difesa e prevenzione sanitaria più consigliato dalle autorità, scientifiche e istituzionale, ai quali ci siamo volentieri abituati per le virtù salvifiche. Eppure anche loro si stanno trasformando in un pericolo per gli ecosistemi e le biodiversità in tutto il mondo, perché se disperse nell’ambiente impiegano 400 anni a decomporsi.

Comportamenti non responsabili possono portare alla morte del mare

Secondo una stima dell’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Ricerca e l’Ambiente, in Italia ogni giorno se ne buttano via 35-40 milioni di pezzi, producendo nel 2020 dalle 160mila alle 440mila tonnellate di spazzatura in più da smaltire con il fuoco purificatore. E di queste non si sa quante finiscano negli inceneritori e quante in terra, per poi essere trasportati dai venti nei mari e nei fiumi, accrescendo il quantitativo di plastica che già minaccia le specie e gli ambienti acquatici. Mascherine, guanti e salviette sono, infatti, realizzati con molteplici fibre di plastica, prevalentemente polipropilene, che rimane nell’ambiente per decenni, se non per secoli, frammentandosi in sempre più piccole micro e nanoplastiche. Da uno studio pubblicato da Environmental Advances si apprende che una singola mascherina può rilasciare in mare 173.000 microfibre al giorno.

Allo studio sistemi di riciclo delle componenti plastiche

A livello globale si stima che se ne utilizzino 129 miliardi ogni mese ovvero 3 milioni al minuto. La maggior parte sono “usa e getta”, quindi realizzate con microfibre di plastica. Se solo l’1% delle mascherine utilizzate in un mese venisse smaltito in maniera non corretta, si avrebbero 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente, una potenziale minaccia ecologica senza pari. Per questo sono parecchi i progetti allo studio in tutto il mondo per riciclare questo dispositivo di prevenzione sanitaria indispensabile, come quello partito dal Politecnico di Torino, con l’aiuto di alcuni giovani volontari del cuneese e fondi europei, che vorrebbe ridurre parte delle mascherine in filamenti o granelli di plastica per poi trasformarli in altri oggetti grazie alla tecnologia della stampante 3D. Anche l’istituto tedesco Fraunhofer, la SABIC e la Procter & Gamble hanno unito le forze in un progetto pilota di riciclaggio a ciclo chiuso dedicato alle mascherine chirurgiche per estrarne materia prima seconda con cui fabbricarne di nuove.

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