venerdì, 19 Aprile, 2024
Società

I sogni degli anziani

Viaggio tra i valori e la percezione della terza età

L’emergenza coronavirus e lo stillicidio delle morti hanno aperto un dibattito sulla vecchiaia spesso fragile e indifesa. Il ruolo degli anziani nella storia dei popoli tra Oriente ed Occidente e la considerazione sociale attribuita alla senilità dalle civiltà mediterranee. Un breve viaggio per non cedere a certe letture economicistiche e alla fredda razionalità di quei protocolli che tendono ad escludere i vecchi dalle terapie intensive.

“Quattro sono i periodi della vita: nel primo si impara, nel secondo si insegna ciò che si è imparato, nel terzo si va nel bosco e nel quarto si impara a mendicare”.

Questo antico proverbio indiano mi permette di riflettere su un tema difficile emerso, con riflessioni e toni contradditori, nella recente crisi generata dal coronavirus: l’ecatombe di anziani morti, spesso, in solitudine e il dibattito che ne è seguito. Perché tante persone fragili, deboli, non sono state protette? Perché, nella concitazione di momenti terribili, si è parlato di priorità nelle cure da destinare ai più giovani e sani, collocando al fondo della lista i “vecchi”?

“Nella tormenta della pandemia, non dimentichiamoci delle persone anziane!”. È l’inizio di un appello firmato da un gruppo di intellettuali e scienziati pubblicato su Le Monde nei giorni più duri. Un appello che è stato largamente condiviso e che ha cercato di dare una cornice più ampia e meno statistica ai tanti anziani morti per coronavirus. Il 52% dei morti di Covid – 19 ha più di 80 anni; il 40,4 % copre la fascia tra gli 80 e gli 89, l’11,6 % aveva superato i 90. Erano vecchi, certamente; ma l’interruzione tragica di una vita, seppure indebolita dagli anni e dalle malattie, è una cesura nella storia degli uomini e di una società per niente liquidabile con una lettura antropologica o freddamente sanitaria. È una perdita con implicazioni di diversa natura : affettiva, economica, culturale. Affettiva nella tragedia della privazione di persone care nel momento in cui, dipendendo da figli o strutture sanitarie, si erano consegnate alla cura degli altri. Economica perché quella generazione ha creato gran parte del benessere attuale e la capitalizzazione monetaria e immobiliare da questa generata sostiene il benessere odierno di figli e nipoti. Culturale poiché l’interruzione del sapere provocata dall’assenza dei vecchi è un vuoto difficilmente colmabile sui libri e nell’educazione dei mass-media, tantomeno da quella recuperabile sulle moderne piattaforme: l’esperienza personale e la vita vissuta (pensiamo solo ai racconti dei superstiti di guerre o tragedie) non sono surrogabili. Senza sottolineare, per il credente, il ruolo di quelle generazioni nel consegnare il bene della Fede a figli e nipoti.

Il tecnicismo di una lettura, maturata nei primi giorni dell’emergenza, si è poi spinto a determinare condizioni di privazione, per gli anziani, particolarmente rigide, suggerendo il loro isolamento. Una proposta avanzata dalla Presidente della Commissione europea che ha suscitato molte perplessità. Questo orientamento è stato poi, in parte, corretto con la massiccia campagna di vaccinazione che doverosamente ha individuato negli anziani una categoria da proteggere; eppure è rimasto, nel profondo, un senso di separazione di quel mondo, spesso relegato nelle case di riposo, privato degli affetti, delle relazioni, degli incontri.

Come giudicare allora la privazione della libertà in soggetti già confinati in relazioni ridotte dall’età e dalla malattia? Lo stato non dovrebbe farsi carico di creare occasioni di socialità in sicurezza?

Le tragedie consumate poi nelle case di riposo sono emblematiche di carenze non più tollerabili e di una grave crisi nella catena del comando e del raccordo tra enti e istituzioni sul territorio. È una riflessione che andrà fatta, al momento dei bilanci finali. A meno che non vogliamo abbandonare con una scelta freddamente ideologica la senilità al suo destino e seguire pericolosamente i comportamenti di paesi come l’Olanda dove, in piena pandemia, gli over 70 hanno ricevuto un modulo in cui si impegnavano, in caso di coronavirus, a non ricoverarsi in ospedale per non sottrarre posti a chi aveva maggiori possibilità di guarire. O adottare il protocollo dell’Nhs, il servizio sanitario britannico, che ha assegnato una sorta di punteggio che considera età, fragilità e condizioni pregresse. Chi supera un certo punteggio non deve essere ricoverato. Nel pieno della crisi in Svezia sono rimasti fuori dalla terapia intensiva coloro che hanno superato gli 80 anni. Così ha deciso l’Ospedale Karolinska, il più grande della Scandinavia. (1-continua)

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